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Non è la prima volta che Richard Long e Jivya Soma Mashe sono invitati a partecipare alla stessa mostra. È accaduto già a Parigi, nel 1989, in occasione della rassegna "Magiciens de la terre", curata, tra l'altro, proprio da Jean-Hubert Martin, esperto di culture extraeuropee e, dal 2003, consulente artistico del PAC. Allora però i due artisti non avevano avuto modo di conoscersi e l'opera di Long era stata affiancata, con grande successo di pubblico, da un disegno di alcuni aborigeni australiani della comunità di Yuendumu.
L'incontro tra l'artista inglese e quello indiano, che ha portato alla realizzazione delle mostre al Kunst Palast di Düsseldorf e al PAC di Milano, si deve allo scrittore e critico d'arte Hervé Pedriolle, che ha avuto questa brillante idea mentre abitava in India (1996-1999) e studiava l'arte dei Warli, la tribù cui appartiene Soma Mashe.
L'idea del cammino e del movimento, l'intervento dell'uomo sulla natura, il modo in cui i Warli dispongono a terra i pezzi di legno o il riso raccolto, le loro espressioni artistiche, fatte di simboli elementari, come il cerchio, il triangolo e il quadrato, gli portavano, infatti, alla mente le opere della Land Art e, in particolare, le installazioni di Long.
L'arte dei Warli, che vivono a 150 Km da Mumbai (l'ex Bombay), è costituita prevalentemente da pitture murali, eseguite sulle pareti delle capanne o in occasione di cerimonie particolari. Di carattere narrativo, racconta la storia degli spiriti soprannaturali e della dea madre Palaghata e presenta scene di vita quotidiana (caccia, pesca, lavori nei campi, festività). Ha acquistato grande visibilità intorno agli anni '70, quando il governo indiano ha deciso di interessarsene procurando materiali e denaro. Soma Mashe tratta gli stessi temi dei suoi "compaesani", ma lo fa su tela e questo gli ha permesso di affrancarsi dai confini della pratica rituale e di ottenere successo in India e anche all'estero, dove il suo talento comincia a essere giustamente apprezzato. |
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Nel febbraio 2003, Richard Long ha soggiornato in India e ha conosciuto Jivya Soma Mashe. Il loro incontro è avvenuto attraverso le opere, dato che nessuno dei due conosceva la lingua dell'altro. Long ha realizzato sul posto alcune installazioni, usando materiali naturali come riso, cenere, acqua e spezie. Mashe ha usato, come sempre, acrilici e sterco di mucca. Nonostante le differenze, nei loro lavori sono evidenti notevoli affinità per quanto riguarda la sensibilità e il rispetto per la natura, ma anche il linguaggio formale. Entrambi, infatti, usano forme archetipiche, come il cerchio o la spirale, e utilizzano materiali naturali.
La mostra allestita al PAC fa dialogare le opere su carta e i dipinti realizzati da Jivya Soma Mashe tra il 1997 e il 2003 coi lavori di Long degli ultimi due anni, alcuni dei quali creati appositamente per questi spazi, che hanno già visto all'opera l'artista nel 1985. L'esposizione è completata da una serie di fotografie che documentano il lavoro di Long in India e dal film/documentario Stones and Flies. Richard Long in the Sahara, girato nel 1988 dal regista Philippe Haas. Un'altra affascinante "avventura" di questo artista itinerante, che misura tempo e spazio con le sue opere e che considera il camminare un piacere sia fisico che intellettuale.
Alla mostra sono abbinate attività didattiche, conferenze e concerti per avvicinare il pubblico all'arte, in particolare quella di oggi. |