Mostre di arte moderna e contemporanea

The Jean-Michel Basquiat Show

20 settembre 2006 - 21 gennaio 2007

Triennale
Viale Alemagna 6, Milano
Tel. 02-724341
Orari: mar-dom 10:30-20:30, lunedì chiuso

Dopo il successo riscosso con le mostre su Andy Warhol e Keith Haring, Gianni Mercurio ha confezionato per la Triennale di Milano un'altra bella rassegna, quella su Jean-Michel Basquiat (1960-1988), che, come loro, è stato uno dei principali protagonisti della scena newyorchese degli anni '80.
La mostra, che è una delle più ampie mai dedicate a questo grande artista americano, offre al pubblico 80 dipinti e 40 disegni di questo autore, che la droga ha portato via giovanissimo, all'inizio di una fortunata carriera.
Le opere arrivano da prestigiose collezioni private americane ed europee e da numerosi musei e istituzioni pubbliche, tra cui il Ludwig Forum di Aachen, il Museu d'Art Contemporani di Barcellona, il Museum of Contemporary Art di Los Angeles, il Musée d'Art Contemporain di Marsiglia, il Museum der Moderne Kunst di Salisburgo, l'Israel Museum di Gerusalemme. Molti i lavori inediti, scovati nelle collezioni private milanesi.

Jean-Michel Basquiat nasce a Brooklyn nel 1960. Il padre è haitiano, la madre portoricana, ma la sua famiglia non è certo povera o emarginata. Basquiat comunque la abbandona molto presto per vivere la sua avventura.
Non ha frequentato una scuola d'arte, ma disegnare gli è sempre piaciuto e, fin da giovane, ha lasciato i suoi segni un po' dappertutto. Ora, la sua palestra è la strada, le sue tele i muri della Grande Mela.
Siamo nel 1977 e questo giovane irrequieto, che divora libri e musica, ama la droga e la trasgressione, compie le sue scorribande artistiche metropolitane insieme all'amico Al Diaz, col quale, per circa un anno, condivide una vita randagia e la firma "SAMO" (Same Old Shit, solita vecchia merda).

Infarcito di cultura pop, Basquiat prende spunto dalla realtà, ma la filtra attraverso la sua sensibilità inquieta e alterata dagli stupefacenti riempendo le vie della città con scritte e disegni che parlano di sesso, morte, soldi, droga e razzismo.
Personalmente non ha mai subito angherie, ma ne ha viste tante e nelle sue opere cerca di dar voce alla rabbia della gente di colore, di quel popolo deportato e perseguitato, di cui porta i geni.
Le sue immagini richiamano quelle di artisti consolidati come Dubuffet, Rauschenberg, De Kooning, Twombly, ma anche Picasso e l'arte primitiva. Le sue scritte non sono i soliti "Tag", ma brani poetici, invettive, riflessioni, ammonimenti, denunce. Fanno riferimento alla TV, ai fumetti, ai graffiti metropolitani, ma anche al mondo della musica e dello sport, della scienza e della medicina, della letteratura e della storia dell'arte. Sono, come dice Haring, "piccole considerazioni filosofiche, poesie concentrate e potenti".

Ambizioso e avido di ricchezza, non lavora a caso, ma sceglie con cura il suo "campo d'azione". Opta, infatti, per i muri di Manhattan e Soho, due zone che sono al centro del sistema dell'arte.
Grazie alle sue immagini rabbiose e feroci e ad amici che contano, come il critico René Ricard, conosciuto in un club newyorchese, viene scoperto da gallerie e musei e diventa uno degli artisti più ambiti della scena internazionale. "SAMO" ha ormai fatto il suo tempo e lascia posto a Jean-Michel Basquiat, l'astro nascente degli anni '80.

Il primo a interessarsi a lui è Diego Cortez, poi lo notano in tanti, da Annina Nosei, che gli mette a disposizione il suo scantinato, a Gagosian, da Bruno Bischofberger a Mary Boone ecc.
Espone al PS1 (1981), alla Documenta di Kassel (1982), alla Whitney Biennial (1983). È il primo nero accolto nelle principali istituzioni americane e, per questo e per la sua denuncia della discriminazione, diventa il simbolo della riscossa delle minoranze etniche.

La sua vita cambia. I soldi non gli mancano, ma la sofferenza e la rabbia sono quelle di sempre. Continuano a riversarsi nelle sue opere, anche se ora dipinge su tela, ha abbandonato le strade, vive come una rockstar e spende senza ritegno.
La droga è sempre con lui e la morte se lo porta via nel 1988, all'apice della fama.

La mostra allestita alla Triennale segue un andamento cronologico, ma è strutturata in modo da far risaltare le tematiche principali del lavoro di Basquiat (l'uso della parola, il legame col mondo della musica, le radici afroamericane, il desiderio di riscatto, la corsa al successo, l'amicizia con Andy Warhol) e di immergere il visitatore nel complesso mondo dell'artista, popolato da immagini e segni "infantili", ma non per questo innocenti.

La rassegna è arricchita da una sezione fotografica, dove sono esposte le immagini di alcuni dei più famosi fotografi (Tseng Kwong Chi, Edo Bertoglio, Maripol, Stephen Torton, Lizze Himmel ecc.) che si sono interessati alla vita e all'opera di Basquiat e da una sezione video che documenta il lavoro dell'artista e il contesto in cui ha operato, la mitica New York degli anni '80.
A questo ambiente è dedicato anche Downtown 81, il film, diretto da Edo Bertoglio, che racconta la giornata tipo di un artista underground e ha come protagonista proprio Basquiat, che interpreta se stesso all'interno della comunità artistico-musicale newyorchese.
Un altro filmato, che sarà proiettato in mostra e in giro per la città, ricorda l'influenza che hanno esercitato su Basquiat, che era di origini afroamericane, i personaggi simbolo della "black culture": Charlie Parker, Miles Davis, Cassius Clay, Sugar Ray Robinson, Malcom X, Martin Luther King ecc. A realizzarlo è stata la Chrysler, che aveva già confezionato un prodotto analogo per la retrospettiva di Keith Haring.

La mostra su Jean-Michel Basquiat conferma il profondo interesse della Triennale nei confronti dell'arte contemporanea. Un impegno che, in futuro, sarà facilitato dall'apertura di un nuovo spazio alla Bovisa. L'inaugurazione, prevista per il 20 novembre, sarà dedicata ad Hans Hartung.

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