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Nel 2006 Gianni Nigro ha donato alla Fondazione Solomon R. Guggenheim due tempere su carta del padre Mario. La Collezione Peggy Guggenheim di Venezia ha approfittato dell'occasione per rendere omaggio a questo artista, che è stato uno dei principali protagonisti dell'astrattismo dinamico.
Nel suo caso, infatti, non si può parlare di semplice geometria, ma di qualcosa di diverso, che unisce struttura ed emozione, scienza e musica. Due grandi passioni dell'artista al pari di Mondrian e dei futuristi, cui spesso fa riferimento nelle sue opere.
Il percorso espositivo è focalizzato sulla produzione artistica di Nigro (1917-1992) dalla fine degli anni '40 alla metà degli anni '60 e consente di cogliere la novità e la complessità di questo autore che, col suo lavoro, ha anticipato alcune soluzioni artistiche che si sarebbero sviluppate più tardi, quelle ottico-percettive e quelle minimaliste.
La mostra si apre con Scacchi (1952), che fa da spartiacque tra la prima e la seconda sala, tra le opere caratterizzate da una dinamica ortogonale e quelle successive, che si sviluppano in diagonale.
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Nella prima sala vengono presentate due opere del 1950, appartenenti al ciclo dei "Pannelli a scacchi". Le scansioni ortogonali bianche e nere di questi dipinti, intervallate da sparuti rettangoli colorati, mostrano un evidente riferimento alle griglie neoplastiche del Mondrian più tardo, quello del periodo americano, che Nigro rivede in senso dinamico tenendo conto della poetica futurista del movimento.
Il risultato di questa operazione è una moltiplicazione dei piani che non ha niente a che vedere con la realtà, ma è il frutto di un'esperienza percettiva indotta attraverso variazioni ritmiche e cromatiche. Le stesse che si possono notare anche nelle due opere su carta, che costituiscono la donazione alla Fondazione Guggenheim: Untitled del 1949 (dal ciclo "Pannello in nero") e Untitled del 1950 (dal ciclo "Pannello a scacchi").
La seconda sala è dedicata alla produzione artistica di Nigro degli anni '50 e '60. Si trovano qui studi, opere su tela e installazioni che raccontano lo sviluppo del suo pensiero sullo "Spazio Totale".
Riflettendo sui risultati della scienza relativistica, sulla tragicità dell'esistenza e sull'impossibilità di trovare una verità assoluta, Nigro dà vita nelle sue opere a uno spazio a più dimensioni, privo di centro e caratterizzato da inquietanti fughe prospettiche.
I lavori che fanno parte di questo ciclo si basano su strutture minime comuni, ma basta una variazione cromatica, una diversa inclinazione delle griglie, una modifica nell'intersecazione dei piani e tutto cambia. Dallo "Spazio Totale" si sviluppano allora, come dicono i titoli, interruzioni, progressioni ritmiche, progressioni ritmiche simultanee, divergenze simultanee drammatiche, contrasti opposti. L'artista cerca infatti di esplorare tutte le possibilità "degli elementi plastici nelle loro ripetizioni, variazioni, simultaneità, coincidenze".
Dopo aver sperimentato diverse soluzioni, nei primi anni '60 Nigro allarga la sua ricerca in senso ambientale. Le opere si fanno più grandi, tendono a disporsi nello spazio seguendo uno schema modulare e seriale, assumono valenze plastiche.
Testimoniano questa evoluzione del suo pensiero due lavori presenti in mostra. Il primo, Dallo spazio totale 1954: serie di 12 rombi continui a progressioni ritmiche simultanee alternate opposte, realizzato nel 1965, è costituito da più dipinti disposti in sequenza sul muro e fa parte delle opere esposte alla Biennale di Venezia del 1968, quando l'artista diede vita a un percorso esperienziale che si sviluppava sia sulla parete che sul pavimento. Il secondo, Dallo spazio totale: progressioni ritmiche simultanee opposte, del 1966, rappresenta un ulteriore passo avanti. Le griglie ottiche di Nigro lasciano la tela e occupano fisicamente lo spazio anche se, per ora, restano ancora legate alla parete.
La mostra, curata da Luca Massimo Barbero, è stata realizzata in collaborazione con l'Archivio Mario Nigro di Milano, attualmente impegnato nella stesura del catalogo ragionato dell'opera dell'artista, affidato a Germano Celant.
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