Mostre di arte moderna e contemporanea

Tamara de Lempicka

5 ottobre 2006 - 18 febbraio 2007

Palazzo Reale
Piazzetta Reale 12, Milano
Tel. 02-86464430
Orari: mar-ven 9:30-19:30, gio e sab 9:30-22:30, dom 9:30-20:30, lunedì chiuso

Il Palazzo Reale di Milano apre la stagione espositiva con un omaggio all'artista polacca Tamara de Lempicka (Varsavia 1898-Cuernavaca 1980), una delle principali esponenti dell'Art Déco, che, nel 1925, tenne una delle prime mostre proprio nel capoluogo lombardo e, precisamente, nella Bottega di Poesia del conte Emanuele Castelbarco, marito di Wally Toscanini e grande amico di Gabriele D'Annunzio.
L'esposizione negli spazi di questo raffinato gallerista-editore, che era un personaggio molto noto e apprezzato nell'ambiente culturale della Milano degli anni '20, riveste un significato particolare nella vita dell'artista perché segna l'inizio della sua carriera internazionale.
È per questo, che la curatrice della mostra, Gioia Mori, ha deciso di dedicare una sezione specifica anche all'attività di Castelbarco e di ricostruire, ove possibile, l'esposizione che si tenne, 80 anni fa, nella sua galleria di via Montenapoleone 14.

La mostra allestita a Palazzo Reale si articola in cinque sezioni che ripercorrono la carriera e la vita di Tamara de Lempicka dalla rocambolesca fuga dalla Russia rivoluzionaria al ritiro in Messico ricordando gli anni trascorsi a Parigi, in Italia e negli Stati Uniti.
Sullo sfondo di questa esistenza glamour e patinata, non priva di dolori e tragedie, fanno capolino i grandi eventi storici e le tendenze dell'arte del '900, raccontati attraverso opere, fotografie e immagini di repertorio che ricreano l'atmosfera del secolo appena trascorso.

Tamara Gorska ha solo 18 anni quando sposa il giovane avvocato Tadeusz Lempicki, uno degli uomini più affascinanti di San Pietroburgo. Due anni più tardi, alla vigilia della rivoluzione bolscevica, lascia la città col marito e si rifugia a Parigi. È in questa capitale delle arti e della cultura che decide di diventare pittrice.
A questo scopo, nel 1920, si iscrive all'Académie de la Grande Chaumière e all'Académie Ranson. I suoi maestri sono Maurice Denis e André Lhote. Due artisti molto diversi, che lasciano la loro impronta sulla sua opera. Dal primo, impara a disegnare e a usare i colori, dal secondo, la geometria delle linee e la scomposizione dei volumi.
Nel 1922, presentandosi come artista indipendente, fa il suo esordio ai Salons parigini, dove porta alcuni ritratti della figlia Kizette e si fa notare per la perfezione e grandiosità dello stile.
Femme à la robe noire, del 1923, mostra già i caratteri tipici di molte opere successive, una forte deformazione delle figure e la tendenza all'ingigantimento dei volumi.

Il 1925 è l'anno della mostra milanese alla galleria del conte Castelbarco, che l'esposizione di Palazzo Reale ricostruisce con alcuni esempi significativi, come Portrait du Prince Eristoff (1925), Portrait du Marquis d'Affitto (1925), Portrait de la Duchesse de la Salle (1925), Les deux fillettes aux rubans (1925).
Saltano all'occhio le consonanze stilistiche con alcuni protagonisti di Novecento, e, in particolare, con Felice Casorati, Ubaldo Oppi, Achille Funi e Francesco Trombadori, presenti in mostra con alcuni lavori.
Del resto, la passione di Tamara per l'arte italiana non era certo un mistero. Già nel 1911, infatti, quando era ancora molto giovane, aveva visitato i musei di Firenze, Roma e Venezia appassionandosi a Botticelli, Raffaello e Pontormo, di cui ricorrono reminescenze nelle sue opere.
Per Tamara l'Italia è il Paese dell'arte, del successo, ma anche di molti amori, tra cui il marchese Guido Sommi, il conte veneziano Vettor Marcello, il collezionista Gino Puglisi. Non rientra nella categoria, benché ci abbia provato insistentemente, Gabriele D'Annunzio, che Tamara frequenta per qualche tempo allo scopo di fargli un ritratto.

Nel 1928, la Lempicka si separa dal marito e, di lí a poco, sposa il Barone Raoul Kuffner. Il suo successo sembra inarrestabile e il mondo è ai suoi piedi.
Dalla sua casa parigina, in rue Méchain, che funge anche da studio, passano artisti, politici, ambasciatori e artistocratici. La "corte" di questa donna moderna, trasgressiva e indipendente, che vive come una diva e ama ritrarre la società mondana di cui è protagonista.
Le sue opere, di cui Palazzo Reale mostra famosi ritratti e nudi, diventano il simbolo di un'epoca, i "ruggenti" e fascinosi Anni Venti e Trenta.
Il suo pennello meticoloso immortala tutto ciò che è nuovo ed esclusivo: le vetture rombanti, il telefono, i grattacieli, le barche a vela, i lussuosi luoghi di villeggiatura. Le sue donne, ricche e annoiate, sono eleganti e sofiscate, ma fredde e altere. Dominano la tela, come dominano la vita.
Lo stile, asciutto e pulito, ma attento ai particolari e seduttivo, ricorda quello delle fotografie di moda. Lei stessa, del resto, ha disegnato figurini e ha realizzato copertine per la rivista tedesca "Die Dame".

Nel 1939, la paura delle persecuzioni razziali, che potrebbero colpirla in quanto sia il padre che il secondo marito sono ebrei, la spingono a trasferirsi a Cuba e, poi, negli Stati Uniti. All'inizio abita a Hollywood, dove la sua villa di Beverly Hills, frequentata da personaggi come Greta Garbo e Tyrone Power, diventa il centro della vita mondana locale, poi, nel 1943, arriva a New York.
Il suo stile cambia, si fa iperrealista. Appartengono a questo periodo opere di carattere meditativo, come Atelier à la campagne (1941), Le turban orange II (1945), La Mexicaine (1947), Portrait de Kizette adulte I (1954), Femme au chapeau (1952), e nature morte di ispirazione fiamminga.

L'esposizione si chiude qui, ma Tamara continua lavorare anche in seguito usando la spatola e avvicinandosi all'arte astratta. Le sue opere, così diverse dalle precedenti, non piacciono alla critica e questo smacco la segna così profondamente che decide di non fare mai più una mostra.
Non sono certo anni facili e, dopo la morte del marito, avvenuta nel 1962, l'artista si ritira prima a Houston, in Texas, dove vive la figlia, e poi, in Messico, nella villa di Cuernavaca, dove muore nel 1980.
Le sue ceneri, come aveva scritto nel testamento, sono sparse al vento sopra il vulcano Popocatépetl. Ultimo desiderio di uno spirito libero che non ha voluto farsi rinchiudere neppure da morto.

La mostra di Milano, che segue le fortunate esposizioni di Londra, Vienna e Parigi, ha un grande valore perché riunisce opere importanti provenienti da prestigiose istituzioni pubbliche, come il Centre Pompidou di Parigi, il Musée des Beaux-Arts de Nantes, il Musée Malraux di Le Havre, il Musée-Château de Cagnes, e private, come le collezioni Wolfgang Joop di Berlino e Donna Karan di New York.
La presenza dell'artista in queste raccolte non deve stupire. Il mito di Tamara, donna e artista indipendente e trasgressiva, ha affascinato, infatti, molti personaggi famosi, come Barbra Streisand, Jack Nicholson e Madonna, che, negli anni '80, dopo la sua morte, hanno acquistato le sue tele.
A farsi sedurre dal suo lavoro e dalla sua vita non sono stati comunque soltanto gli attori, i cantanti e gli stilisti. Citazioni delle sue opere e del suo stile si ritrovano, infatti, nel cinema, nella fiction televisiva e nella pubblicità.

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