Mostre di arte moderna e contemporanea
In pubblico. Azioni e idee degli anni '70 in Italia
30 marzo - 2 settembre 2007
Villa Croce - Museo d'Arte Contemporanea
Via Jacopo Ruffini 3, Genova
Tel. 010-580069
Orari: mar-ven 9-19, sab-dom 10-19, lunedì chiuso
Gli anni '70, che in Italia molti ricordano con nostalgia, non sono stati certo anni facili. Se da un lato, infatti, hanno rappresentato un momento di apertura ed espressione di idee e pensieri fino ad allora inespressi, di grandi conquiste nel campo della libertà individuale e del diritto (approvazione dello statuto dei lavoratori e del nuovo diritto di famiglia, che garantiva la parità tra i sessi, legalizzazione del divorzio e dell'aborto, abolizione dei manicomi), sono stati anche gli anni della crisi economica, degli scioperi generali, delle rivolte studentesche, della lotta armata, degli scontri con la polizia, dei morti nelle piazze. Due facce della stessa medaglia, che hanno diviso in due la popolazione. Da un lato quelli che non avevano paura di niente e manifestavano pubblicamente le loro idee, dall'altra, quelli che preferivano tapparsi in casa per evitare di essere coinvolti nei tafferugli e pestaggi dei cosiddetti "anni di piombo", che vedevano la sinistra e la destra darsele di santa ragione.
Quello che è certo, e che sicuramente tutti rimpiangono, è che, nonostante le molte zone d'ombra, quel periodo ha rappresentato probabilmente l'ultima stagione dell'utopia novecentesca, un momento di forte impegno sociale e civile, che, dopo d'allora, non si sarebbe più verificato. Senza dubbi, insofferenze, ansia di libertà e trasgressione delle regole imposte, è difficile, infatti, trovare la spinta per andare oltre e produrre qualcosa di nuovo.
La stessa voglia di discutere e sperimentare, di cambiare il mondo, si è manifestata anche in ambito culturale e, soprattutto, nel campo delle arti visive, che hanno dimostrato negli anni '70 una vivacità straordinaria. Quella che questa mostra cerca di raccontare con un percorso a tema che, dopo una sorta di introduzione affidata alle opere di Tagliaferro, Vaccari, De Filippi, Agnetti e Boetti, affronta l'argomento prendendo in considerazione alcune parole chiave: "la piazza", "la violenza", "scenari urbani", "matti da slegare", "il privato è politico", "altrove", "abitare i Settanta". Una suddivisione di comodo, che non rispecchia fedelmente la realtà. Molti temi, infatti, si mescolano e convivono nelle opere degli stessi artisti.
Una delle prime conseguenze del clima sociale, politico e culturale che, in quegli anni, avvolgeva l'Italia, o, meglio, quella parte del paese che tendeva a privilegiare il "noi" anziché l'"io", è, in campo artistico, l'uscita dalla gallerie e dai tradizionali circuiti del mercato. Molti sono, infatti, gli artisti che decidono di lavorare per strada, tra la gente, e cercano di coinvolgere le persone nei loro lavori realizzando opere d'arte pubblica.
Emblematiche di questo nuovo sentire sono Verifica di una mostra, un'installazione di Aldo Tagliaferro del 1970, che racconta i comportamenti del pubblico e degli operatori in occasione di un evento espositivo alla Galleria La Bertesca di Genova, e una delle opere più note di Franco Vaccari, Lascia su queste pareti una traccia del tuo passaggio, esposta alla Biennale del 1972 e seguita da altri esperimenti in spazi urbani.
L'altra grande novità è rappresentata dall'introduzione di nuovi linguaggi e norme estetiche. La fotografia, che ha ormai raggiunto un vero e proprio statuto artistico, acquisisce anche un altro ruolo, quello di documentare performance e azioni, il video diventa uno degli strumenti più utilizzati dagli sperimentatori, l'artista si trasforma, con la Body Art, in soggetto/oggetto dell'opera d'arte.
Una delle prime opere che in Italia segnalano questo passaggio è Lenin di Fernando de Filippi, un video che mostra la lenta, ma inesorabile, trasformazione dell'artista nel leader russo. Ma all'interno della mostra se ne troveranno altre, inserite in altre aree.
Lo spartiacque tra questa sezione introduttiva e il percorso vero e proprio non poteva essere affidata ad altri che a Boetti. Il titolo della sua opera, Millenovecentosettanta, si presta infatti perfettamente allo scopo e ci introduce al piano superiore, dove sono ospitate le sezioni tematiche.
Come abbiamo accennato, la prima è dedicata alla piazza, che, negli anni '70, assume un importante valore simbolico. Rappresenta, infatti, il momento politico, la protesta e, talvolta, anche la tragedia, che diventa, allo stesso tempo, privata e collettiva.
È in questo scenario che si collocano due opere di grande drammaticità, I funerali di Togliatti (1972) di Renato Guttuso e i Funerali di Giannino Zibecchi di Francesco Radino, che ricordano la fine di questo ragazzo, schiacciato da un mezzo della polizia nel 1975. Anche se il destino è intervenuto in maniera diversa su questi due personaggi, il dolore, il senso di perdita e la commozione sono gli stessi. Appartengono a tutti e le loro esequie assumono un forte valore politico e sociale.
Quello che è successo a Radino ci introduce nella seconda sala, quella dedicata alla violenza. Le foto scattate da Uliano Lucas, Tano d'Amico, Francesco Leoni e Dino Fracchia parlano anch'esse di scontri di piazza, lotte tra partiti, interventi delle forze dell'ordine, brutalità, ma la stessa efficacia nel raccontare la cattiveria dell'uomo l'hanno anche due opere più sottili, l'"odio" di Gilberto Zorio, marchiato a fuoco su una pelle di bue, che racconta la violenza sul corpo, e l'opera di Fabio Mauri, che parla del male che può fare l'ideologia. A volte, infatti, le parole, le coercizioni psicologiche sono molto più pericolose e invasive delle sofferenze fisiche.
Il disagio, la sofferenza psicologica sono al centro di un'altra tappa del nostro percorso, quella che parla di matti da slegare. Ad abolire i manicomi ci ha pensato la Legge Basaglia, promulgata nel 1978, ma a tutt'ogggi le cose sono ancora irrisolte anche se i pazienti hanno acquisito maggior dignità. Il mondo dei matti è stato al centro di numerose indagini e anche molti artisti e fotografi si sono cimentati con questo soggetto. Pistoletto, per esempio, ha inventato Gabbia, una superficie specchiante dove ognuno di noi può, una volta nella vita, provare la sensazione di essere rinchiuso, bloccato dietro le sbarre in questa drammatica situazione. La raffigurazione reale degli spazi manicomiali è invece affidata alle tristi e desolanti immagini di Emilio Tremolada.
Scenari urbani è una delle sezioni più varie dove convivono installazioni, foto, video, performance e interventi mediatici. Gli artisti che hanno trattato questo tema sono Luciano Fabro, recentemente scomparso, che mostra qui una delle sue "Italie rovesciate", Isgrò, che l'Italia l'ha addirittura cancellata e poi Lucas, Fracchia, Bergami, La Pietra, Patella, Nespolo e Schifano.
Lo slogan privato è politico propone, paradossalmente, una riflessione sul corpo e sul femminismo. Ripensandoci bene, però, il concetto non è sbagliato e serve a sottolineare il fatto che la libertà non è un interesse personale, ma pubblico.
Anche qui tornano le foto di Bergami, D'Amico, Fracchia e Lucas. Ad accompagnarle sono i primi esperimenti di Body Art, effettuati da Gina Pane, Cioni Carpi e Marina Abramovic. Al corpo hanno guardato però anche molti esponenti dell'Arte Povera e dell'Arte Concettuale ed è per questo che, in questa sezione, troviamo anche Giuseppe Penone, Giovanni Anselmo, Luca Patella e Fabrizio Plessi.
Gli anni '70, in Italia, sono ancora quelli dei "figli dei fiori", del ritorno alla natura, della fuga dalla realtà. A ricordarcelo sono Fracchia, D'Amico e Tagliafico, che hanno fotografato alcuni momenti di evasione e trasgressione, come le feste del parco Lambro e Montaldo di Castro, le manifestazioni hippies e le performance del Living Theatre. Modi di essere che sono lontani anni luce rispetto alla tradizionale vita borghese della maggior parte della popolazione e rappresentano quindi, giustamente, un vero e proprio altrove.
Il decennio, comunque, sta perdendo colpi e cominciano a manifestarsi i segni di un ritorno verso l'individualismo, la riscoperta del privato e del passato, il recupero delle forme artistiche tradizionali e, in particolare, della pittura.
La ricerca del nuovo a tutti i costi ha ormai fatto il suo tempo e la pratica della citazione sta prendendo piede. Paolini, Pisani, Salvo, Mariani e Ontani saranno tra i primi a rendersene conto, ma la vera esplosione del soggettivismo si avrà con la Transavanguardia, che renderà possibile tutto e il contrario di tutto.
Sia pure in ritardo, la condizione postmoderna è oramai arrivata anche in Italia. La seguiranno l'"edonismo reaganiano" e il disimpegno dei "paninari".
Prima che questo accada e tutto si concluda, il secondo piano della mostra ci offre ancora una chicca, che ci aiuta a immergerci più a fondo in quegli anni straordinari. Si tratta di abitare i Settanta, dove accanto alle più significative espressioni grafiche dell'epoca, sono allestiti ambienti che raccontano il gusto dei designer del tempo e, di conseguenza, dei loro clienti. Ecco allora il salotto, la camera della coppia, la camera dei ragazzi, arredati con alcuni pezzi cult come il "divano Joe" e l'"appendiabiti Shangai" (Jonathan De Pas, Donato D'urbino, Paolo Lomazzi), la "sedia Appoggio" (Claudio Salocchi), il "divano Bocca" (studio 65), il "Sacco" (Piero Gatti, Cesare Paolini, Franco Teodoro), l'"Abitacolo" di Munari ecc. Ad aiutare ulteriormente il ricordo ci sono un blob di immagini, recuperate da telecronache d'epoca, e degli spezzoni cinematografici.
La rassegna termina con un "titolo hollywoodiano", che rende perfettamente la fine di quel periodo. Non appartiene a un film, ma a un divano di Gaetano Pesce, il famoso Tramonto a New York del 1980. Un filmato comunque c'è. È datato anni '80 e racconta la crisi politica e sociale del decennio precedente, quello cui è dedicata questa mostra.
La rassegna, curata da Matteo Fochessati, Mario Piazza e Sandra Solimano, è stata realizzata in collaborazione con la Fondazione Colombo e Wolfson ed è accompagnata da conferenze, proiezioni, manifestazioni e concerti, che aiutano a rivivere il clima di quegli anni contraddittori, che Guccini ha definito come "anni fatati di miti cantanti e contestazioni".