Mostre di arte moderna e contemporanea
Artempo - Where time becomes art
9 giugno - 5 novembre 2007
Palazzo Fortuny
Campo San Beneto, San Marco 3780, Venezia
Info. 041-5209070
Orari: 10-18, martedì chiuso
Se siete a Venezia per la Biennale o per turismo, non perdete l'occasione di visitare questa mostra, che, per ambientazione e scelta delle opere, è senz'altro una delle più suggestive tra quelle realizzate in Italia nel 2007. Merito di straordinari curatori, come Jean-Hubert Martin, Giandomenico Romanelli, Mattijs Visser e Daniela Ferretti, di un collezionista sensibile ed eclettico come Axel Vervoordt, e soprattutto di un tema come "il tempo", che è tra quelli che maggiormente affascinano e preoccupano gli uomini. Del resto, non potrebbe essere altrimenti dato che scandisce le loro giornate, le loro vite e ha a che fare, come direbbe Storr, sia coi sensi che con la mente.
Il tempo, infatti, dà e toglie, trasforma, consuma e sedimenta. Nel tempo si vive, si muore, si ama, si crea, si accumula, si riflette. Ma la sua durata non è mai la stessa. Cambia secondo il nostro umore e la nostra disposizione d'animo. Si riduce quando abbiamo fretta, siamo malati o siamo felici, si allunga, quando non sappiamo cosa fare, siamo disperati o in attesa di qualcosa. Misurarlo è impossibile, anche se le stagioni e gli orologi ci aiutano a fissarlo. Nessuno è mai riuscito a domarlo o farlo suo. E il timore della vecchiaia e l'ossessione dell'eternità continuano ad accompagnarci finché viviamo.
Per gli oggetti è diverso. Spesso infatti ci sopravvivono e questo vale ancor di più per quelli di valore, che sono conservati con cura. Non fanno eccezione le opere d'arte, votate all'eternità, che, da un lato, raccontano qualcosa del loro tempo, dall'altro, superano la dimensione temporale per raccontare al mondo, a tutte le epoche, qualcosa dell'uomo e del suo spirito.
Questa mostra, audace e innovativa, ben inserita nel contesto di Palazzo Fortuny, analizza il rapporto che si è instaurato tra l'arte, il tempo e il loro mostrarsi attraverso secoli, luoghi, tendenze e linguaggi espressivi diversi.
Le opere esposte sono più di 300, tra pezzi archeologici, strumenti astronomici, manoscritti, oggetti rituali, mirabilia di ogni genere, dipinti, sculture e installazioni del '900. Ma la cosa più curiosa e stupefacente è che, in questo guazzabuglio di "prodotti" della scienza, dello spirito e della creatività umana, lo scarto temporale finisce per annullarsi e tutte le opere appaiono tra loro contemporanee. Appartengono al passato, al presente, all'umanità intera.
Del resto, come diceva Picasso, e come indica il titolo di una delle sezioni di questa splendida rassegna, "non c'è passato o futuro nell'arte", e i veri capolavori sono in grado di resistere al tempo e mostrare la loro attualità in ogni momento e sotto diversi cieli. Ecco perché si possono affiancare senza problemi un simbolo cicladico di fertilità, un'antropometria di Klein, un dipinto di Bacon e un video di Kimsooja. A unirli è lo scorrere del tempo, che può essere sintetizzato in nascita, vita e disfacimento, morte.
Tra gli artisti che hanno fatto del tempo e della sua scansione il tema del loro lavoro troviamo On Kawara, Roman Opalka e Tatsuo Miyajima. Le loro opere sono accostate con mirabile sensibilità a un calendario di Manzoni, un'installazione di Dominique Stroobant, una preghiera buddista del XVII secolo, un Lohan cinese del periodo Sung. E non si potrebbe pensare una sistemazione più azzeccata di questa anche se queste due stanze, fredde e asettiche come gallerie, sono le meno suggestive di tutto il palazzo. Sono gli spazi perfetti per chi vuole esercitare il pensiero e lo spirito. Chi cerca l'essenza, la verità, infatti, ama i luoghi discreti, tranquilli, privi di distrazioni, e non ha certo bisogno di orpelli...
Da questo spazio "metafisico" si accede a quello che può essere considerato il cuore pulsante di questa mostra.
In questo luogo scenografico e suggestivo, che testimonia il gusto di Mariano Fortuny, raffinato creatore di stoffe, tessuti e interventi illuminotecnici, si trovano mirabilia di ogni genere, dalle più antiche a quelle contemporanee.
Il visitatore ha il compito di scovarle e riconoscerle oppure, se preferisce, di godersele così come sono. La curiosità comunque regna sovrana ed è bello scoprire, sui tavoli, negli armadi o appese ai muri di questa "wunderkammer" d'altri tempi, molte opere di oggi e di ieri di artisti come Man Ray, Picasso, De Chirico, Giacometti, Fontana, Burri, Fabre, Dumas, Bourgeois, Warhol ecc.
Trovarle non è così semplice come potrebbe sembrare. Spesso infatti si confondono con oggetti e reperti di diversa epoca e provenienza.
A soccorrere i visitatori pignoli o distratti ci sono comunque delle specie di "menu", grazie ai quali si possono individuari autori e opere.
Il tempo, come abbiamo accennato, è in grado di aggiungere, ma anche di togliere. Le "camere delle meraviglie", le nature morte, le "vanitas", così presenti nella cultura seicentesca, ricordano la brevità della vita, ma rappresentano anche un tentativo di sfuggire alla sua inesorabilità. Raccogliere oggetti, metterli a disposizione di chi verrà dopo, infatti, è un modo di fermare il tempo, trattenere il ricordo, lasciare una traccia di sé.
L'illusione dell'immortalità, che l'opera d'arte dona al suo autore, si trasferisce infatti anche sul suo collezionista ed è un dono per tutti coloro che ne beneficeranno. Un dono del cielo che stende un filo di continuità tra noi e chi ci ha preceduto. Ci fa credere, infatti che non siamo soli, ma parte di un tutto, che ci sia un disegno più grande, un fine, un destino, un universo comune.
La magia continua all'ultimo piano dove si trova una sorta di solaio, lasciato così com'era, coi muri scrostati e i pavimenti accidentati. In questo clima da "day after" sono esposte le opere di molti artisti informali, tra cui Dubuffet, Burri, Tàpies e Vedova, che hanno sempre mostrato grande attenzione per la materia.
Le tracce del passato si riscontrano anche nel riciclo e nell'assemblaggio di oggetti comuni e materiali di risulta, che sono alla base dell'opera di Arman e Peter Buggenhout, e nella creazione di oggetti inservibili come le sedie di Günter Uecker.
Accanto a questi lavori, figurano, come sempre, opere, mobili e reperti del passato, che dimostrano, una volta di più, quanto sia difficile capire cosa appartiene all'oggi o al tempo che fu.
Molte opere esposte in questa rassegna, che è stata realizzata in collaborazione col Museum Kunst Palast di Düsseldorf, sono inedite e sono state appositamente commissionate per l'occasione.
Ai lavori degli artisti già visti nella cittadina tedesca - Marina Abramovic, Antonin Artaud, Francis Bacon, Erzsébet Baerveldt, Hans Bellmer, Alighiero Boetti, Christian Boltanski, Jonathan Borofsky, Louise Bourgeois, Peter Buggenhout, Alberto Burri, Cai Guo-Qiang, Tony Cragg, Giorgio de Chirico, Jean Dubuffet, Marcel Duchamp, Marlene Dumas, Jan Fabre, Robert Filliou, Fischli & Weiss, Lucio Fontana, Mariano Fortuny, Alberto Giacometti, On Kawara, William Kentridge, Kimsooja, Yves Klein, Bertrand Lavier, Man Ray, Piero Manzoni, Marisa Merz, Sabrina Mezzaqui, Jorge Molder, Saburo Murakami, Roman Opalka, Orlan, Nam June Paik, Pablo Picasso, Otto Piene, Markus Raetz, Medardo Rosso, Claude Rutault, Richard Serra, Shozo Shimamoto, Fujiko Shiraga, Kazuo Shiraga, Antoni Tàpies, Günter Uecker, Emilio Vedova, Jef Verheyen, Andy Warhol, Adolfo Wildt - si sono aggiunti, infatti, quelli di Loris Cecchini, Anish Kapoor, Berlinde De Bruyckere, Klaus Münch, Tatsuo Miyajima, Jorge Molder, Thomas Schütte, Dominique Stroobant, Shiro Tsujimura e James Turrell.
Tra le opere più suggestive, figura lo splendido arazzo di El Anatsui, che ricopre la facciata del palazzo. Prezioso e leggero all'aspetto, è stato creato utilizzando delle lattine.
Un altro lavoro di questo bravissimo artista, originario del Ghana, si può vedere all'Arsenale. I materiali, ancora una volta di riciclo, sono tappi di bottiglia...