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I musei che vendono proprie opere. Fanno bene?
Visitando la Fiera di Basilea di quest'anno, a qualche visitatore attento non è sfuggita la presenza di una tela famosa di Amedeo Modigliani nello stand di una galleria canadese. Il quadro si intitola Moglie e marito, e fino a poco tempo fa faceva parte delle collezioni del Museum of Modern Art di New York. Il museo ha deciso di venderlo per raccogliere fondi da impiegare nella realizzazione dei grandi lavori di ampliamento in programma.
Nel passato era stato il Solomon R. Guggenheim Museum a vendersi alcune opere di Kandinsky e Chagall. Allora, i fondi servivano a finanziare l'acquisto di una parte della collezione Panza di Biumo.
Con le dovute differenze, i due casi esposti presentano una analogia di fondo. Entrambi i musei hanno sacrificato alcune opere sulla base di considerazioni di ordine strategico. I fondi racimolati sono, infatti, serviti ad usi collegati alla qualificazione delle proprie collezioni: uno spazio più ampio e funzionale nel caso del MoMA, una collezione più ricca e articolata nel caso del Guggenheim.
La domanda sorge comunque spontanea: è giusto che un museo venda opere della propria collezione?