Jean Dubuffet
Attività artistica di Jean Dubuffet
All'inizio della sua carriera, Jean Dubuffet appare titubante sul proprio destino e la propria vocazione artistica. Solo passati i 40 anni, nel 1942, decide di dedicarsi definitivamente e completamente alla pittura. Lo fa con grande entusiasmo e dedizione, ma anche a modo suo.
I primi lavori richiamano Picasso e gli Espressionisti, ma sono soprattutto pervasi della spontaneità infantile. Sono senz'altro di tipo figurativo e di consistente impatto cromatico. In essi però risulta già presente quell'attenzione per la materia che sarà tipica dell'informale.
Dubuffet non ama l'arte da museo, i capolavori delle cosiddette "Beaux-Arts". Lo attira piuttosto il vasto repertorio di immagini dei bambini, dei malati di mente, dei primitivi: quella che definisce "Art Brut".
Come dichiara lui stesso, non bisogna andar lontano per cercare le rarità, basta guardarsi attorno, perché anche le cose brutte nascondono meraviglie insospettate. Anche l'uomo medio, secondo Dubuffet, coi mezzi comuni a sua disposizione può creare autentici capolavori. Ripeterà su per giù il medesimo concetto in occasione della sua mostra del 1946 presso Drouin. E lo farà ancora l'anno successivo, nel primo fascicolo dell'Art Brut, dove afferma senza mezzi termini che: "quel che si guasta nell'opera d'arte quando si vuol far meglio è l'ingenuità...". Quella che ha chi non è del mestiere e dipinge per uso proprio o passione.
I suoi interessi non si limitano a tradursi in semplici dichiarazioni di principio. Sin dai primi anni '40, infatti, organizza mostre di lavori di alienati mentali ed emarginati. Addirittura, a partire dal 1945, inizia a raccoglierne le opere.
Dubuffet è affascinato dal loro modo istintivo e immediato di lavorare. Una naturalezza che lo conduce ad elaborare egli stesso forme elementari e infantili.
Molto presto, l'interesse per le espressioni artistiche primitive porta Dubuffet a scoprire le materie primigenie, grezze e originarie. Nascono così le Hautes Pâtes (1945-1946) e i Portraits (1946-1949), che per consistenza e fattura della materia pittorica indirizzano la sua ricerca verso soluzioni di tipo informale. Diversa è però l'impostazione esistenziale, che in Dubuffet è più ironica che drammatica. I ritratti, ad es., che a prima vista appaiono così caricaturali, grotteschi, non rispondono affatto a propositi di denuncia morale, ma semplicemente a richiamare l'attenzione dello spettatore e a stimolarne l'immaginazione.
Gli Assemblages e le Texturologies, che porta avanti dal 1953 al 1959, gli consentono di interagire con la materia. Nei dipinti vengono inseriti elementi di varia provenienza, parti di oggetti, frammenti animali e vegetali. Talvolta affiora un'immagine, frutto di un procedimento inconscio, che non ha nulla a che vedere con l'automatismo di matrice surrealista. L'unica casualità che Dubuffet ammette è quella della pittura e della materia. "L'arte deve nascere dal materiale... e deve mantenere la traccia dello strumento... Ogni materiale ha il proprio linguaggio" (Notes pour les fins-lettrés).
A partire dal 1961 la produzione artistica di Jean Dubuffet registra un graduale mutamento stilistico. All'interno dell'opera le forme perdono di consistenza materica, ma acquistano contorni e colore. Diverse immagini vengono affastellate, incasellate all'interno di vaste composizioni, alla stregua di paesaggi.
Dal 1962 le immagini cominciano a venire sagomate e ricomposte come in un "puzzle", le cui tessere sono dipinte di bianco o a tratteggi obliqui, nettamente delimitate da contorni neri. Il ciclo di opere viene denominato Hourloupe (1962-1974). Con esso Dubuffet intende mettere alle strette le capacità percettive dell'osservatore, privato dei normali riferimenti visivi.
Negli stessi anni Dubuffet realizza sculture, allestimenti teatrali e opere ambientali.
Al 1968 risale uno dei suoi testi fondamentali, l'Asphyxiante culture. In esso contrappone la cultura imperante a quella dei folli e dei bambini. In particolare, si schiera contro la funzione sociale dell'arte per stimolare la ribellione e la creatività individuale, fonte di nutrimento per l'intero gruppo.
Echi dell'opera di Jean Dubuffet si ritrovano nei lavori di Tápies, Burri, e in alcuni esponenti dell'Arte Povera. Elementi formali, come il suo caratteristico modo di stipare l'immagine in maniera inverosimile con figure e presenze, lo accomunano persino ai graffitisti di oggi.