Mostre di arte moderna e contemporanea

Joel Peter Witkin / Jan Saudek. L'universo in una camera

28 febbraio - 27 aprile 2008

PAC - Padiglione d'arte Contemporanea
Via Palestro 14, Milano
Tel. 02-76009085
Orari: lun 14:30-19:30, mar-dom 9:30-19:30, gio 9:30-22:30

Le divergenze di vedute che da tempo esistono tra il Sindaco di Milano, Letizia Moratti, e l'Assessore alla Cultura, Vittorio Sgarbi, su quello che sia bene mostrare o non mostrare al pubblico, si sono risolte ancora una volta a favore del critico d'arte, che è stato invitato però a trasferire le opere di Joel Peter Witkin e Jan Saudek al PAC. Non si è ritenuto opportuno, infatti, esporle a Palazzo Reale, che è considerato uno spazio troppo in vista, dove vanno molte famiglie.
La decisione, arrivata dopo molte polemiche, che Sgarbi trova tutt'altro che disdicevoli perché procurano pubblicità, tiene conto quindi delle perplessità avanzate dal Comune, ma anche del valore di questi due artisti contemporanei, le cui fotografie sono esposte in importanti musei internazionali.

Dire che le loro immagini sono "acqua fresca" come fa Sgarbi, è un po' troppo riduttivo. Si tratta, infatti, sicuramente di immagini forti, inquietanti, un po' macabre e respingenti, ma basta guardare quello che ogni giorno ci propina la televisione per capire che questi due artisti sono stati gli iniziatori di un genere, un po' discutibile, ma non privo di fascino, che si sta rivelando vincente e che la pittura, del resto, aveva scoperto da tempo, come dimostrano le opere di Bosch, Caravaggio, Rembrandt, Goya, Delacroix, Bacon ecc. Il problema è che, come scrive David Levi-Strauss, "la gente crede a ciò che vede in fotografia" e questo provoca un disagio molto maggiore di quello che si prova guardando un quadro dello stesso soggetto.

Joel Peter Witkin è nato a Brooklyn nel 1939 da madre cattolica e padre ebreo e questo mix di religioni ha avuto un'importanza fondamentale per la sua vita e la sua carriera artistica. Gli ha lasciato in dote, infatti, un rapporto molto contraddittorio con Dio e coi concetti di Punizione e Morte, che i turbamenti dell'infanzia e la visione delle immagini provenienti dai lager nazisti hanno contribuito ad alimentare.
La guerra in Vietnam, cui ha preso parte come reporter, ha fatto il resto infrangendo l'ultimo tabù e spingendolo a considerare la morte e il "maneggiare cadaveri" come qualcosa di assolutamente normale. Cosa che in realtà è, anche se, per paura e viltà, facciamo di tutto per nascondercelo.

Le immagini esposte, tutte in bianco e nero, sono molto curate ed esteticamente ineccepibili. L'artista, infatti, ha una spiccata sensibilità per la tecnica fotografica e pone sempre grande attenzione nei confronti dei dettagli e della composizione.
Ricche di simboli, allegorie e riferimenti alla storia dell'arte, appaiono decadenti, suntuose, teatrali, ma anche molto eleganti e raffinate. Sono scene metafisiche, surreali, erotiche e talvolta grottesche, dove non manca mai una buona dose di ironia. Tableaux vivants, che molti giudicano spaventosi, ma che per l'artista non rappresentano nient'altro che la realtà.
La fotografia, che è in grado di fissare il tempo, congelare l'attimo, costituisce infatti per lui una sorta di trait d'union tra la vita e la morte, l'alfa e l'omega di ognuno di noi. L'unico mezzo in grado di creare un legame col Cristo vivente, il solo essere in cui materia e spirito sono tutt'uno.

Molti suoi personaggi, che spesso appartengono alla categoria dei "diversi" (nani, ermafroditi), indossano una maschera, ma questo oggetto, che in genere serve a nascondersi, a non farsi riconoscere, per Witkin ha un valore molto più profondo. È l'emblema della confusione umana, di un bisogno di chiarificazione, che l'artista ben conosce. Per tutta la vita, infatti, ha cercato di "trasformare la materia in spirito nella speranza di poter vedere... il volto che aveva prima che cominciasse il mondo".
In alcuni casi, l'artista, che è anche pittore, scultore e perfomer interviene sulle stampe dei negativi con graffiti, collage e colori, che rendono i suoi lavori ancora più misteriosi e simbolici.

La mostra su Witkin, curata da Gianfranco Composti, presenta 40 fotografie vintage e opere recenti ed è arricchita da un video, che aiuta a capire il percorso e il pensiero di questo artista colto e complesso, che non si può certo bollare con un'etichetta così semplicistica come scandaloso. I suoi lavori, infatti, squarciano il velo che separa normalità e perversione costringendo chi guarda ad affrontare i pregiudizi e i "lati oscuri" dell'umanità.

Anche Jan Saudek, l'altro artista esposto al PAC, non ha avuto una vita facile e le esperienze maturate durante l'adolescenza e, più tardi, sotto il regime sovietico, hanno avuto un'influenza notevole sul suo lavoro, che, proprio per questo, deve essere giudicato con maggior idulgenza e senza pregiudizi.
La mostra che lo riguarda, curata da Enrica Viganò, ci invita a conoscerlo più da vicino proponendo 80 fotografie in bianco e nero, colorate a mano, che offrono uno spaccato pittosto esauriente della sua produzione artistica e dei suoi sogni, che sono sempre strettamente correlati.

Saudek, nato a Praga nel 1935, ha iniziato a fotografare nel 1950 quando il padre gli ha regalato la sua prima macchina. Il suo primo soggetto è stato il fratello gemello e da allora non ha più smesso seguendo la sua passione a tutti i costi e quindi anche contro le norme morali e sociali del suo tempo.
Osteggiato dal regime comunista, ha lavorato per anni nella cantina di casa trasformando quel luogo umido e inospitale in uno spazio senza confini. Lì ha ambientato, infatti, tra il 1960 e il 1975, alcuni dei suoi lavori più riusciti e poetici, capaci di trasmettere tutte le sfumature dei sentimenti umani: desideri, passioni, aspirazioni, sogni, deliri, emozioni e contraddizioni.
Davanti a quel muro, dotato di una sola finestra, la sua fantasia ha preso il volo inventando realtà di struggente e dolorosa bellezza, dove tutto sembra possibile e, comunque, mai così sbagliato o riprovevole. L'immaginazione gode, infatti, di una libertà che a molte persone è preclusa e Saudek, che è stato rinchiuso in un campo di concentramento, lo sa molto bene.

Questo non significa che le sue fotografie siano facili da digerire o semplici da capire. L'artista, infatti, ritrae spesso corpi sfatti o deformi, immagini ambigue ed erotiche, scene di vita e di morte. Sono il riflesso delle aspirazioni segrete e degli inconfessabili desideri che albergano nel profondo di molte persone e che lui non esita a svelare. I suoi personaggi, infatti, siano o non siano svestiti, non si risparmiano mai, e l'artista con loro. Vanno fino in fondo e mettono a nudo anche l'anima.

A partire dal 1977, Saudek comincia a utilizzare il colore, che stende in modo molto diluito, come se stesse realizzando degli acquerelli. Facendo così aumenta il fascino delle sue opere, che acquisiscono la consistenza eterea e impalpabile dei sogni.
Più o meno nello stesso periodo, inizia anche a retrodatare le sue foto facendole vivere in un mondo senza tempo, che ha importanza estetica ma, nel suo caso, anche pratica.
Grazie a questo modo di procedere e negando la sua paternità, è riuscito infatti a evitare le rappresaglie dei comunisti, che, più di una volta, si sono recati nel suo studio per distruggere i suoi lavori.

Le rassegne di Witkin e Saudek sono accompagnate da visite guidate e laboratori, rivolti agli studenti delle scuole superiori e a un pubblico adulto. Il catalogo è pubblicato da Federico Motta Editore.

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