Mostre di arte moderna e contemporanea

Alberto Giacometti

10 ottobre 2004 - 20 febbraio 2005

Museo d'Arte della Città di Ravenna
Loggetta Lombardesca
Via di Roma 13, Ravenna
Tel. 0544-482775
Orari: mar-gio 9-13 14-18, ven 9-13 14-20, sab-dom 10-19, lunedì chiuso

A 16 anni dalla mostra al Castello di Rivoli, la città di Ravenna ha messo in piedi un'altra grande rassegna sull'artista svizzero Alberto Giacometti. Un grande scultore, ma anche un eccellente disegnatore e incisore, come dimostrano le sue opere e come attestano le onorificenze ricevute. Nel 1964, infatti, dopo aver vinto i Gran Premi per la Scultura del Carnegie Institute di Pittsburgh (1961) e della Biennale di Venezia (1962), Giacometti ottenne anche quello per la Pittura, conferitogli dal Guggenheim Museum di New York.

La mostra ripercorre tutta la carriera di questo artista straordinario. Dai dipinti giovanili (Portrait de jeune fille, 1921), che già lasciano intravedere la genialità del suo lavoro, alle prime sculture influenzate dall'arte primitiva (La femme cuillère, 1926; Le Couple, 1926) e dal cubismo. Dalle opere del periodo surrealista, volte a esprimere gli incubi (Femme égorgée, 1932) e le sollecitazioni del subconscio (L'object invisible, 1934-35), fino alle sculture filiformi degli anni '50 e seguenti (La Fôret, 1950; Le chat, 1951; Femme de Venise, 1956; Homme qui marche I, 1960), che rappresentano la parte più personale e innovativa del suo percorso artistico. Punto di arrivo di un'indagine incessante, ma priva di illusioni, sul rapporto tra realtà e rappresentazione, che l'artista porta avanti con la copia dal vero e analizzando la relazione tra figura e spazio.

È soprattutto dopo il distacco dal Surrealismo che il disegno e la pittura a olio diventano una parte fondamentale del suo lavoro. Ritrae se stesso, il fratello (Diego, 1949), la moglie (Annette, 1956), il suo atelier, in un processo continuo di distruzione e costruzione. Comprende che "le persone, le cose esistono solo nel momento in cui le osserviamo... (Che) la realtà è difficile da rappresentare, al massimo se ne può cogliere un particolare". Decide così di abbandonare la riproduzione dal vero e affidarsi alla memoria. Le linee si aggrovigliano, si sovrappongono, il contorno delle figure si perde.
Lo stesso capita nelle sue sculture. I corpi, smangiati e corrosi, si assottigliano, si allungano, diventano filiformi. Manifestano la fragilità della condizione umana, la sua solitudine. La tragedia di chi ha perso ormai ogni illusione. Una conclusione che ci ricorda l'esistenzialismo sartriano e un clima culturale cui Giacometti non fu per nulla estraneo. Alla fine degli anni '30, infatti, ebbe contatti con Sartre e Simon de Beauvoir e, nel 1951, diventò amico di Beckett.

Il percorso espositivo è arricchito dalle litografie del libro Paris sans fin, iniziato nel 1959 e uscito postumo, dai ritratti fotografici di Ernst Scheidegger, che documentano momenti della vita dell'artista, e da un'intervista a Giacometti realizzata dalla Televisione svizzera nel 1963.

La mostra è curata da Jean-Louis Prat e Claudio Spadoni in collaborazione con la Fondazione Maeght di Saint-Paul de Vence e la Fondazione Mazzotta di Milano.

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