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Newsletter del 31 ottobre 2007
sommario
"Bamboccioni" è un termine che non si addice ai giovani artisti americani. Non temono di lasciare casa se questo può servire a conseguire il loro obiettivo. E se costasse più di quanto permettono le loro finanze, sono pronti a integrare il budget svolgendo lavori part-time.
Questo modo di porsi nei confronti della propria carriera di artisti per gli americani è un fatto tradizionale, che risale fino agli anni '30.
A quell'epoca, miti sacri come de Kooning, Pollock, Rothko e Kline erano poco più che ventenni. L'America era prostrata dalla crisi del '29. I futuri protagonisti dell'Espressionismo Astratto lasciavano i rispettivi luoghi d'origine e si trasferivano a New York in cerca di contatti e stimoli intellettuali. Per sopravvivere allestivano negozi, decoravano le pareti di bar e locali. Qualcuno faceva l'imbianchino.
Per attutire l'indigenza cronica della fauna artistica locale, il governo federale avviò un programma di sostegno alle arti. A fronte di un modesto assegno mensile, Pollock, Rothko e compagni dovevano dipingere quadri per gli uffici e grandi murali per gli aeroporti e altri spazi pubblici.
Questa disinvoltura dei giovani artisti americani non è solo merito loro, ma anche dell'ambiente, del clima che li circonda. Quelli che non sono artisti, infatti, accettano che i giovani emergenti possano svolgere una seconda attività per mantenersi. Danno per scontato che, per non essere un bamboccione, chi punta a essere artista possa per un certo tempo anche fare cornici, tinteggiare case, catalogare libri, lavorare nei call-center.
Da noi si pretende che siano subito di successo, o che siano benestanti. Altrimenti sono considerati dei falliti...
Guardando una tipica tela di Mark Rothko, prima di tutto si rimane sopraffatti dalle grandi dimensioni. Mano a mano che si prende dimestichezza con il maxi-formato, l'attenzione viene catturata dalle tinte più vivaci e dai contrasti cromatici più evidenti. Poi, le masse monocrome cominciano ad amalgamarsi, a entrare in rapporto reciproco. Fluttuano, monumentali, sugli sfondi omogenei e slavati. È allora che si entra veramente nel dipinto, che si stabilisce un rapporto più intimo con esso. Si percepiscono misteriose presenze che affiorano da profondità infinite. Con il suo silenzio e la sua semplicità, il dipinto acquista sonorità che spingono la mente oltre i confini della sua realtà oggettuale.
Rothko era consapevole che la tradizione dei quadri grandi si legava all'esigenza di pompa e grandiosità. D'altra parte, dipingere un quadro di piccolo formato lo faceva sentire fuori da esso. Il bisogno di essere in sintonia con il quadro, di farne parte, era così impellente da fargli accettare il rischio di cadere nel pomposo.
In questo suo bisogno di essere nel quadro, di farsi trasportare da esso accettando i rischi che la cosa comportava, Rothko incarna l'essenza dell'Espressionismo Astratto.
Quante volte il lasciarsi trasportare dal dipinto lo ha portato sulla strada sbagliata? Quante volte le sue masse di colore non sono riuscite a sfondare il confine dell'immaterialità?
Lasciamo la risposta a chi ha modo di visitare la grande mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma.

Su Artdreamguide puoi trovare la presentazione della mostra.
Come i suoi grandi compagni di strada, Mark Rothko comincia a dipingere i primi veri quadri astratti verso la fine degli anni '40.
Prima di allora, Rothko è un artista figurativo. Dipinge opere in stile realista raffiguranti scene nella metropolitana e vedute di città. Poi passa a composizioni con motivi classici. Nei primi anni '40 dipinge composizioni di strani simboli e forme organiche trasparenti, fluttuanti su sfondi opachi. Assomigliano ad acquari immaginari, in cui nuota una singolare fauna di simboli.
Nel periodo che lo porta all'astrazione Rothko è ossessionato dall'idea di un'arte che esprima valori eterni, universali. Il suo interesse si rivolge alla psicanalisi di Jung, al mondo classico, al mito di Edipo, alla simbologia primitiva, alla tragedia greca.
Nella sua tensione verso l'universale, Rothko si sforza di eliminare ogni elemento che potrebbe diminuire l'intensità del quadro. Attorno al 1947, elimina tutto l'armamentario di simboli, forme fluttuanti e filamenti. Riduce la pittura a una trama di masse galleggianti, che poco alla volta si condensano nelle grandi bande monocromatiche rettangolari sovrapposte che tanti conoscono.
Quella di Rothko è la storia di un ebreo russo giunto in America a dieci anni d'età e che a vent'anni decide di studiare arte. Una storia fatta di grande serietà e impegno nella ricerca di un'arte nuova. Una storia che culmina nel successo del suo protagonista e della Scuola di New York, per chiudersi, poi, con un epilogo tragico.

Su Artdreamguide puoi trovare un profilo di Mark Rothko, con la vita, l'attività artistica e le opere.
Nel 1958 l'architetto americano Philip Johnson commissiona a Mark Rothko un ciclo di dipinti per decorare il nuovo ristorante newyorkese Four Seasons.
Rothko elabora 3 versioni, ma non ne consegna nessuna. Un ciclo viene smembrato e venduto, un altro viene abbandonato, e il terzo rimane nel suo studio. Qui lo vedono John e Dominique de Menil, in occasione di una loro visita a Rothko nel 1964. L'impressione è grande e i coniugi gli commissionano un altro ciclo per decorare una cappella in costruzione a Houston.
Il ciclo viene completato verso la fine del 1967, ma Rothko non si decide a consegnarlo perché intende apportare alcuni ritocchi. Si arriva così al 1970, anno fatidico della morte di Rothko. A quel punto i dipinti vengono installati. In ricordo dell'artista scomparso, i de Menil gli dedicano la cappella, che da allora si chiama appunto The Rothko Chapel.
Il tema del ciclo è la Passione di Cristo. Consiste in tre grandi trittici e cinque pannelli singoli, disposti sulle otto pareti della cappella. Con le loro monumentali, scure presenze, testimoniano un anelito inesausto di assoluto ed eterno.
Un apposito sito web permette di farsi un'idea della Rothko Chapel.

Se non puoi visitare "The Rothko Chapel" di persona, puoi visitare il sito web che la riguarda.
Per la prima parte del '900, la cultura americana sembra una creatura acerba, al traino dell'Europa. Ma, come spesso succede, l'apparenza inganna.
Negli anni '30 avvengono molti fatti che innescano la metamorfosi della crisalide in farfalla. L'avvento del nazismo in Europa causa l'immigrazione a New York dei principali protagonisti della cultura europea. I musei si sbizzarriscono a organizzare mostre che fanno discutere. Per dare impulso alla cultura nazionale, il governo vara programmi di sostegno ai giovani artisti in difficoltà. Nascono a New York luoghi di scambio tra artisti e intellettuali.
La nuova scena artistica newyorkese reagisce, trasformandosi in una specie di frullatore in cui nuotano ingredienti di ogni tipo. Rimasugli del realismo espressionista americano. L'energia dei muralisti messicani Orozco, Rivera e Siqueiros. L'influenza di Picasso e della pittura cubista. Gli echi dell'astrazione lirica di Kandinsky. L'interesse per la psicanalisi di Jung e il concetto di "inconscio collettivo". L'irruzione in America del Surrealismo e la pratica dell'automatismo psichico. Lo studio dei miti classici. La scoperta dei simboli e dei riti degli indigeni americani.
Orfana del ruolo trainante di Parigi, la combriccola dei giovani pittori americani prende confidenza nei propri mezzi. Sperimenta una pittura libera, svincolata dall'esigenza di rappresentare. Una pittura astratta, in cui l'artista si lascia trasportare dall'istinto e dà sfogo alle energie più profonde. L'Espressionismo Astratto, appunto.

Su Artdreamguide puoi trovare un profilo dell'Espressionismo Astratto.
C'è un detto piuttosto ricorrente tra i mercanti d'arte: "Vendere e poi pentirsi". Sta ad indicare una situazione tipica per cui ogni volta che si vende un'opera, in seguito ci si mangia le mani perché si sarebbe potuto venderla a un prezzo molto più alto.
Quella del mercante d'arte è un'attività che deve bilanciare due esigenze. Da una parte, quella di intuire le tendenze del mercato e prevedere le quotazioni degli artisti. Dall'altra, quella di vendere e creare un giro d'affari.
Le opere d'arte costano. E più sono importanti, più costano. Il mercante può avere intuizioni geniali, capire che sarebbe meglio tenere le opere di un certo artista. Ma non lo può fare sempre, o può farlo solo in parte. Le opere deve venderle, farle "girare", perché questo è lo scopo della sua attività. Inevitabile pentirsi, quindi. Ma è un po' come avere le classiche "lacrime di coccodrillo".
Ogni mercante d'arte di successo nel corso della propria attività tiene qualche opera per sé. Alcuni, di grande successo, riescono a tenerne molte e di buona qualità. Pochi, di grandissimo successo, si creano una grande collezione e a un certo punto la donano a un museo, o si fanno il proprio museo. È il caso di Ernst Beyeler.
In sessant'anni di attività ha venduto a famosi collezionisti privati. Ha fornito grandi capolavori a importanti musei. Anche lui ha dovuto "vendere e poi pentirsi". Ma si è anche arricchito, e poco alla volta ha messo assieme la propria collezione. E alla fine ne ha fatto un un museo.
Perché non confrontare le opere della sua collezione con qualcuna delle tante che ha "dovuto" vendere? È quanto cerca di fare una grande mostra alla Fondation Beyeler di Riehen (Basilea).

Su Artdreamguide puoi trovare una descrizione della mostra.
Nel 1986 fece scalpore la vendita all'asta di un grande quadro cubista di Georges Braque, Femme lisant. Quattro anni dopo fece ancor più scalpore la vendita da parte del Guggenheim Museum di Fugue, importante tela astratta di Wassily Kandinsky.
A parte le cifre multimiliardarie, le due vendite avevano in comune il compratore: il grande mercante d'arte Ernst Beyeler.
Nulla di stupefacente. Capita spesso che i mercanti si battano all'asta con i collezionisti privati per aggiudicarsi grandi capolavori. Possono farlo per conto di un proprio cliente. Possono farlo anche con l'intenzione di rivendere l'opera in seguito, dopo una cospicua rivalutazione.
Non nel nostro caso, però. Beyeler, infatti, le acquistò per la propria collezione privata. Erano due importanti pedine ancora mancanti alla sua personale selezione.
A un certo punto della sua vita, Beyeler decise che era il momento di rendere accessibile al pubblico la collezione. Voleva un museo in cui le opere, disposte cronologicamente, entrassero in rapporto con esempi di scultura africana e dell'Oceania. Sognava un edificio in cui la luce naturale contribuisse a creare le condizioni ideali per il godimento dei lavori. Immaginava una struttura che, almeno in parte, permettesse il dialogo delle opere con l'acqua all'esterno. L'incarico venne affidato a Renzo Piano.
Dieci anni fa, la Fondation Beyeler è stata inaugurata nella cittadina di Riehen, sobborgo di Basilea. Il pubblico ha così potuto ammirare i suoi meravigliosi Picasso, Matisse, Miró, Léger, Kandinsky, Klee, Mondrian, Ernst, Rothko, Dubuffet, Lichtenstein, ecc ecc.

Su Artdreamguide puoi trovare un profilo della Fondation Beyeler di Riehen (Basilea).
L'espressione "arte concettuale" è di quelle che fanno venire il latte alle ginocchia.
Come spiegarla, come descriverla?
L'arte concettuale è una vasta corrente che ha dominato la scena mondiale dal 1965 a tutti gli anni '70. In linea generale, si può definire un'arte che si interessa all'aspetto progettuale dell'opera (l'idea), a scapito del prodotto artistico. Un'arte che, in teoria, non propone manufatti artistici, ma indagini e riflessioni sull'arte stessa.
Negli anni '60, si manifesta nel suo ambito una linea radicale, definita "concettualismo analitico". La sua caratteristica consiste nel ridurre l'operazione artistica a un'indagine filosofica sulla natura del linguaggio dell'arte. Massimi esponenti di questa tendenza sono il gruppo inglese Art & Language e gli americani Laurence Weiner e Joseph Kosuth.
Joseph Kosuth è il personaggio che meglio di tutti ha teorizzato il "concettualismo analitico". La sua definizione di "concettuale" come un'arte che si propone l'indagine della natura linguistica delle proposizioni artistiche risale al 1970. Ma già negli anni '60 Kosuth aveva esplorato a fondo la funzione del linguaggio nell'arte.
Per illustrare il suo procedimento basta pensare a One and Three Chair. L'opera presenta affiancate una sedia vera, la sua fotografia e una riproduzione stampata della definizione su dizionario della parola "chair" (sedia). In maniera esemplare analizza le proprietà e i limiti del linguaggio artistico.
Tra i primi estimatori del suo lavoro c'è anche il famoso Giuseppe Panza di Biumo. In quella che fu la sua villa si trovano esposte in questi giorni alcune delle più importanti installazioni di Kosuth.

Su Artdreamguide puoi trovare una descrizione della mostra.
Esiste un punto di coincidenza tra arte astratta e pittura figurativa?
Di primo acchito, verrebbe da dire di no. Poi, però, vengono alla mente diversi esempi che suggeriscono cautela.
Nel campo della pittura naturalista, sono parecchi gli artisti che, specie nell'ultima parte della loro carriera, hanno messo in moto un processo di smaterializzazione della forma. Con l'obiettivo di rendere effetti atmosferici o evocare emozioni e senzazioni sublimi, hanno raffigurato una natura appannata, smangiata al punto tale da mettere in crisi la nostra percezione.
Ecco qualche esempio. I turbini e le atmosfere nebbiose dell'ultimo Turner. La natura appannata delle ultime tele di Monet. Le trame cromatiche dei cosiddetti "ultimi naturalisti" italiani. Le composizioni schematiche e semplificate di Nicolas de Stael.
Al confine tra naturalismo e astrazione si colloca anche il lavoro di Ercole Monti.
Monti è stato scoperto solo in anni recenti. Le sue opere raffigurano marine, angoli di Venezia e della sua laguna, campi di grano. Sono visioni trasfigurate di luoghi, in cui la pittura morbida e trasparente, basata su ampie stesure sottili e monocromatiche, esalta il lato atmosferico ed emozionale della natura.
L'organizzazione delle sue campiture cromatiche suggerisce una interessante analogia con le masse rettangolari sovrapposte dei quadri di Rothko. Un'analogia che dimostra come, a prescindere dal soggetto, la monumentalità scaturisca dall'intensità del sentire e dalla sintesi della rappresentazione.
Alla pittura di Ercole Monti è dedicata una bella mostra presso Giudecca 795, a Venezia.

Per conoscere il lavoro di Ercole Monti guarda la presentazione della mostra.
Le fiere di arte contemporanea sono un momento importante nell'attività di promozione delle gallerie d'arte.
Ma la promozione per una galleria d'arte "tipo" non si esaurisce qui.
Implica, innanzitutto, un'intensa attività di pubbliche relazioni. Comporta, quindi, tutti i normali strumenti che possono servire a pubblicizzare mostre ed eventi: invio di comunicati stampa e inviti, inserzioni pubblicitarie sulle riviste specializzate.
A questi mezzi va aggiunta, naturalmente, anche Internet!
Avere un proprio sito Web autonomo, o avere perlomeno un proprio spazio all'interno di qualche grande portale è divenuto un "must". E ciò a dispetto del fatto che pochi galleristi siano consapevoli dell'utilità di una presenza su Internet...
A cosa serve per una galleria essere presente su Internet?
A tante cose. A patto, però, di supportare questa presenza con altri strumenti. Strumenti molto economici se rapportati a quelli tradizionali.
Artdreamguide ha sviluppato una serie di soluzioni al servizio delle gallerie d'arte e della loro presenza su Internet. Una sezione apposita le descrive in modo semplice e dettagliato.

Visita la pagina con le opportunità che Artdreamguide propone alle gallerie d'arte.
- Il 30 settembre scorso è morto a Colonia l'architetto tedesco Oswald Mathias Ungers. Erede della grande tradizione razionalista, ha realizzato importanti edifici pubblici e residenziali. Tra i suoi progetti vanno ricordati l'Ambasciata tedesca presso la Santa sede di Roma, il Deutsches Architektur Museum di Francoforte e la Galerie der Gegenwart di Amburgo. Negli anni '60, ha svolto un'intensa attività didattica, presso le università di Berlino, Harvard, Vienna, Los Angeles e Dusseldorf. Membro delle più importanti organizzazioni internazionali di architettura, ha ricevuto innumerevoli premi e riconoscimenti.

- Il 12 ottobre scorso, dopo 8 anni di lavori, è stata inaugurata la Reggia di Venaria, una delle più belle residenze dei Savoia. La ristrutturazione del sontuoso edificio, voluto da Carlo Emanuele II e progettato da Amedeo di Castellamonte, è costata intorno ai 200 milioni di Euro. La mostra inaugurale ha visto il coinvolgimento del regista inglese Peter Greenaway, autore di una serie di quadri viventi che raccontano storie e aneddoti della vita a palazzo. Oltre a lui, sono stati coinvolti importanti artisti, come Giuseppe Penone e Giulio Paolini.

- Durante l'asta newyorchese di Sotheby's del prossimo 7 novembre, saranno battuti due capolavori postimpressionisti. Si tratta di Te poipoi (Le matin) di Paul Gauguin e di The Fields (Wheat Fields) di Vincent van Gogh. Il primo è del 1892 ed è uno dei pochi dipinti del periodo tahitiano ancora in mani private. Il secondo è del 1890 e venne dipinto da Van Gogh poche settimane prima di morire. Le stime delle due tele sono comprese rispettivamente tra i 40 e i 60 milioni di dollari per il Gauguin, e tra i 28 e i 35 milioni di dollari per il Van Gogh.
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