Mostre di arte moderna e contemporanea
Andres Serrano. Il dito nella piaga
14 ottobre - 26 novembre 2006
PAC - Padiglione d'arte Contemporanea
Via Palestro 14, Milano
Tel. 02-76009085
Orari: 9:30-19, gio 9:30-21, lunedì chiuso
Con la duplice mostra dell'artista americano Andres Serrano, strenuamente voluta dall'Assessore alla Cultura Vittorio Sgarbi, il PAC volta pagina. Abbandona la ricerca del "nuovo" e assume il ruolo, più istituzionale, di spazio espositivo del contemporaneo ormai affermato. Questo comunque nulla toglie alla portata innovativa di questo autore, che negli anni '80, è stato il pioniere di un nuovo genere, che ha trovato nel cinema e in TV un grande seguito. Fin dagli esordi, infatti, le sue fotografie hanno preso di petto la realtà costringendo gli spettatori ad affrontare tematiche "scomode" e "improponibili", come la religione, la morte, la malattia, il razzismo, le fantasie e le perversioni sessuali. Argomenti di cui in genere non si parla o di cui si preferisce ignorare l'esistenza. Dei veri e propri tabù.
La rassegna prevede due momenti distinti: una parte antologica, curata da Oliva María Rubio, che dà il titolo alla mostra e ripercorre le tappe più significative del percorso artistico di Serrano, e una sezione più cruda e raccolta, curata da Alessandro Riva, dedicata ad alcune immagini inedite della serie The Morgue, che l'artista ha realizzato nel 1992 all'interno di un obitorio e nessuno ha mai visto prima d'ora.
Tra le opere in mostra, oltre alle serie Nomads (1990), Ku Klux Klan (1990), The Church (1991), Budapest (1994), A History of Sex (1995) e America (2000), figura anche Piss Christ (Cristo nell'orina) del 1987, la fotografia che gli è valsa una denuncia di fronte al Congresso degli Stati Uniti, ma anche un'immensa pubblicità e la fama.
Guardando oggi questa immagine, che è una delle più suggestive di tutta la rassegna, è difficile credere che abbia potuto fare tanto scandalo. In fondo, non c'è niente di più umano dei fluidi corporali, e Cristo, Figlio di Dio, non ha mai negato la sua profonda "umanità". Negli anni '80 però un comportamento come quello aveva il valore di una bestemmia, di una profanazione. E l'autore andava punito, additato come un sacrilego, messo al bando.
Adesso i tempi sono cambiati e così il normale senso del pudore, i limiti della decenza e di quello che siamo disposti a sopportare. Siamo tutti molto più permissivi e, quindi, più liberi. A volte, troppo.
Le conseguenze di quello che può esere considerato un cambiamento epocale, anticipato dalle riflessioni di Serrano, sono sotto gli occhi di tutti: la religione ha smesso di essere qualcosa di dogmatico e indiscutibile, i comportamenti sono diventati molto più fluidi e anche la morte ha perso molta della sua sacralità. È diventata un fatto mediatico come tanti.
Fino a non molti anni fa, quando succedeva una catastrofe o un delitto, la televisione non osava avvicinarsi troppo e i defunti erano coperti da un telo bianco, che proteggeva rispettosamente la privacy e la dignità, oggi lo schermo ci propone quotidianamente, gli orrori della guerra e della morte, insiste sui particolari, sul dolore dei familiari, sulle tragedie personali.
I polizieschi di nuova generazione non sono da meno. Non si limitano a mostrarci l'esteriorità di corpi martoriati e feriti, sottoposti all'attenta analisi di un medico legale. Penetrano senza nessun motivo al loro interno, ne violano le più riposte intimità con un compiacimento che fa davvero un po' paura.
Di fronte a tanta indifferenza, le immagini di Serrano, caratterizzate da un impianto compositivo classico, mutuato dalla pittura sacra del '500 e del '600, appaiono molto più complesse e ricche di sfumature, infinitamente più belle e seducenti. Molto più simili a "tableaux vivants" o "nature morte", che a semplici fotografie.
L'artista, infatti, mostra sempre un gran rispetto per i suoi soggetti e costruisce le sue fotografie muovendosi in equilibrio sulla sottile linea che separa sacro e profano, lecito e illecito, morale e immorale. Mette "il dito nella piaga" di tutto ciò che ci fa orrore e paura, ma non lo fa per farsi notare o dare scandalo. Come dice Oliva María Rubio, risponde a "una vocazione", che è quella di focalizzare l'attenzione su temi e problematiche che riguardano l'uomo e sempre lo riguarderanno perché fanno parte della sua natura.
Le sue fotografie, patinate e perfette, eloquenti e immediate, servono proprio a questo: indurre gli spettatori a guardare in faccia i propri turbamenti e le proprie manie, farli desistere dall'impulso di voltare lo sguardo da un'altra parte.
Qualche riserva, forse, si potrebbe fare per le imagini della serie The Morgue esposte al piano superiore, che sono davvero molto crude e sembrano lasciare poco spazio all'immaginazione.
Quella che più colpisce, comunque, è la mancanza di considerazione per le salme, la totale negazione della vita, che non si ritrova, invece, in altre opere della stessa serie, come Infectious Pneumonia e Fatal Meningitis II, dove la morte conserva intatto tutto il suo mistero.
In un mondo come il nostro, che inorridisce di fronte alle più piccole imperfezioni fisiche e ricorre sempre più ripetutamente alla chirurgia estetica, quelle suture grossolane, sembrano, infatti, gridare a tutti "questo non è più un uomo, è solo un corpo, un oggetto che non serve più a nessuno". Un'idea lontana dal pensiero di Serrano, che, per sua stessa ammissione, ha sempre "cercato di trovare la vita nella morte" e, forse per questo, non ha mai voluto mostrare queste foto, ma che sembra invece trovare riscontro nella nostra società, dove può capitare che le ossa dei defunti vengano vendute come pezzi di ricambio. Una cronaca recente e dolorosa, che deve far riflettere...
La rassegna è accompagnata da un vasto programma di attività didattiche e visite guidate. Il catalogo è edito da Silvana Editoriale.