Mostre di arte moderna e contemporanea

Robert Mapplethorpe

2 dicembre 2011 - 15 aprile 2012

Forma - Centro Internazionale di Fotografia
Piazza Tito Lucrezio Caro 1, Milano
Tel. 02-58118067
Orari: 10-20, gio-ven 10-22, lunedì chiuso

Dopo le splendide polaroid di Julian Schnabel, il Centro Forma porta a Milano un'interessante retrospettiva su Robert Mapplethorpe (1946-1989), uno dei più grandi artisti del XX secolo, che ha iniziato a dedicarsi alla fotografia quasi per gioco utilizzando una macchina che usava proprio questo tipo di pellicole. Inizialmente, infatti, voleva fare l'artista e per questo, nel 1963, si era iscritto al Pratt Institute di Brooklyn, dove aveva frequentato i corsi di disegno, pittura e scultura.
Le sue prime opere, che risentivano dell'influenza di artisti come Joseph Cornell e Marcel Duchamp, erano per lo più collage polimaterici, in cui comparivano immagini tratte da giornali e riviste. Dopo l'acquisto della Polaroid, che risale al 1970, cominciò però a inserire anche le sue fotografie, che acquistarono sempre più spessore, tanto è vero che, nel 1973, riuscì a esporle in una personale alla Light Gallery di New York.

Gli anni di cui stiamo parlando sono gli anni della rivoluzione pop, del new dada, di Andy Warhol, della liberazione sessuale, dell'esplosione della performance e della body art. Mapplethorpe si trasferisce al leggendario Chelsea Hotel, dove vive assieme a Patti Smith, che ha conosciuto nel 1968, frequenta artisti, musicisti, star del cinema porno e membri dell'ambiente sadomaso. Lasciata da parte la Polaroid e dotato di una Hasselblad, che è senz'altro più professionale, comincia a scattare foto di amici, conoscenti e personaggi dell'ambiente underground newyorchese, di cui è al tempo stesso protagonista e testimone.
Oltre a portare avanti le sue sperimentazioni, si dedica anche ad attività di tipo commerciale. Realizza, infatti, alcune copertine per i dischi di Patti Smith (Horses) e dei Television e collabora con la rivista "Interview".
Ciò che lo attira, che lo spinge a dedicarsi alla fotografia è l'idea di immortalare qualcosa di inaspettato, di mai visto prima. Ma anche quando ritrae nudi di uomini e donne o scene erotiche, non cerca affatto lo scandalo. Le sue immagini, infatti, anche quelle più crude e dirette, restano sempre caratterizzate da uno stile impeccabile, asciutto, elegante e raffinato, capace di sublimare la carnalità di ciò che è raffigurato e trasformare i corpi in statue di classica compostezza. Per lui, infatti, che ha sempre voluto essere considerato un artista nel senso più alto del termine, "La fotografia è un mezzo... per fare scultura". E l'armonia e la perfezione sono le mete da raggiungere, gli elementi essenziali di ogni scatto che si rispetti, sia che si tratti di un nudo, di una parte del corpo, di un fiore reciso, di una natura morta.
Per questo, non ha senso considerare scandalose le sue immagini, neppure quelle che a prima vista possono sembrare scabrose o scioccanti. Il suo, infatti, è stato l'atteggiamento di un uomo che ha voluto guardare in faccia la realtà senza ipocrisie e preconcetti cercando di trasfigurare tutto tramite l'arte.

La mostra, che è stata curata da Alessandra Mauro in collaborazione con la Robert Mapplethorpe Foundation di New York, ripercorre, in 178 fotografie, la carriera e l'opera di questo straordinario fotografo, che, con le sue immagini, al tempo stesso classiche e attuali, rigorose e innovative, ha influenzato generazioni di artisti.
Il percorso espositivo, che è strutturato per argomenti, si apre con le prime polaroid di inizio Anni Settanta, che non lasciano quasi mai la Fondazione, ma sono fondamentali per comprendere tutto il suo percorso creativo. Già allora, infatti, si capiva che quello che voleva fare era trasformare la vita quotidiana in immagini.
Questi scatti lasciano spazio agli autoritratti che mostrano con quanta intensità Mapplethorpe abbia indagato la sua persona giocando col suo corpo, coi suoi mille travestimenti e perfino con la malattia, che fa capolino elegantemente nelle ultime due foto di questa sezione.
Gran parte dell'esposizione è dedicata ai nudi, nei quali l'artista ha dato prova di grandi capacità tecniche e compositive e soprattutto di grande abilità nell'uso della luce, grazie alla quale è riuscito a modellare i corpi come vere e proprie statue, che qualcuno ha avvicinato alle opere di Michelangelo.
La maggior parte dei nudi e dei dettagli anatomici è maschile, ma Mapplethorpe si è occupato anche della raffigurazione della bellezza femminile, testimoniata dai molti scatti che l'artista ha dedicato alla bodybuilder Lisa Lyon.
Un'altra donna di cui ci ha lasciato tanti ritratti è Patti Smith, che gli è stata vicina in tanti momenti di vita e lavoro. Molti sono comunque anche gli artisti e i personaggi del mondo del cinema, della musica e dello spettacolo che sono passati davanti al suo obiettivo. Da Isabella Rossellini a Cindy Sherman, da David Hockney a Louise Bourgeois, da Laurence Wiener a Robert Rauschenberg, da Donald Sutherland a Grace Jones. Un posto particolare spetta comunque a Andy Warhol, che Mapplethorpe considerava un vero e proprio guru per l'influenza che aveva avuto sulla scena artistica newyorchese e sulla sua stessa vita.
Le ultime due sezioni sono dedicate alle nature morte, allusive e sensuali, nelle quali Mapplethorpe riesce a mostrare, ancora più che in altre foto, la sua straordinaria abilità tecnica e compositiva, e agli insoliti, e poco conosciuti, ritratti di bambini, che rivelano un inaspettato lato tenero e malinconico.

Esteta dell'arte e della vita, Mapplethorpe non si è mai tirato indietro di fronte a nulla e ha pagato per questo un prezzo molto alto. Infatti, l'AIDS, che, negli anni '80, ha portato via molti personaggi del mondo della cultura e dell'arte, ha colpito anche lui. Prima di morire però è riuscito a dar vita alla Robert Mapplethorpe Foundation, un'istituzione che ha lo scopo di sostenere la fotografia e finanziare progetti contro la diffusione di questo morbo devastante, che oggi, per fortuna, concede a chi ne è affetto un po' di tregua e speranza.

La rassegna è accompagnata da un catalogo molto particolare, edito da Contrasto, che contiene un'intervista storica, quella che la critica d'arte Janet Kardon, allora direttrice dell'ICA, fece all'artista nel 1988 in vista di una grande mostra itinerante, "The Perfect Moment", che avrebbe dovuto tenersi in diverse città tra il 1988 e il 1989, ma venne chiusa per oscenità quando fu presentata alla Washington's Corcoran Gallery of Art.

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