Mostre di arte moderna e contemporanea

August Sander e Michael Somoroff. Absence of Subject

1 febbraio - 7 aprile 2013

Fondazione delle Stelline - Sala del Collezionista
Corso Magenta 61, Milano
Tel. 02-45462411
Orari: mar-dom 10-20, lunedì chiuso

Il fotografo tedesco August Sander (1876-1964) è sicuramente uno dei più grandi ritrattisti del secolo scorso. A lui si deve, infatti, un progetto molto ambizioso, che era quello di realizzare un "catalogo" dei suoi connazionali e, attraverso di loro, delle professioni del suo tempo.
Il suo primo libro, intitolato Faces of our time uscì nel 1929 con una selezione di 60 scatti. A esso fece seguito però un lavoro molto più ampio, Uomini del XX secolo (Menschen des 20 Jahrhunderts), suddiviso in 7 sezioni (contadini, commercianti, donne, classi e professioni, artisti, città, gli ultimi), che raccontava per immagini quella che era la società al tempo della Repubblica di Weimer, ma fu pubblicato soltanto nel 1980. L'operato di Sander fu ostacolato, infatti, dal regime nazista, che, nel 1936 sequestrò le copie del suo primo libro e distrusse le lastre che aveva realizzato fino ad allora.
Scioccato da quanto era successo e dalla scomparsa del figlio Enrich, che era membro del Socialist Worker's Party e morì in carcere, negli anni successivi Sander decise di dedicarsi al paesaggio ritraendo la campagna del Reno e la città di Colonia.
Il suo nome sarebbe probabilmente caduto nell'oblio se lo Stadtmuseum di Colonia non avesse acquistato le sue vedute (1951), non avesse vinto il Deutsche Gesellschaft für Photographie (1964) e il Museum of Modern Art di New York non gli avesse dedicato una grande retrospettiva (1969).

A farci riscoprire il suo straordinario catalogo di uomini e donne è ora un artista americano contemporaneo, Michael Somoroff, che ha compiuto un'ardita operazione concettuale sulle opere di Sander. Ha preso, infatti, 40 fotografie di quel grande maestro e, ricorrendo alla tecnologia digitale, ha fatto scomparire ogni traccia dei personaggi, che erano i soggetti principali di quegli scatti. Quello che resta e diventa elemento primario è lo sfondo, il contesto, l'essenza dei luoghi, interni ed esterni, ripresi da Sander, dove talvolta si riescono ancora a vedere gli oggetti appartenuti a chi non c'è più, per il passare del tempo e per l'intervento di Somaroff. E questo ci porta a riflettere sul concetto di memoria, immaginazione e creatività. E anche su cosa sia il linguaggio postmoderno, che è il campo di indagine di Somoroff e, come ha scritto Diana Edkins, che è la curatrice di questa mostra, non è mai a sé stante, ma ha sempre radici, tradizioni e continuità.

Questa alternanza tra presenza e assenza, che da un lato snatura e dall'altro fa risaltare il pensiero che stava alla base del progetto di Sander, acquista un'enfasi ancora maggiore al piano interrato, dove sono proiettati alcuni video (o foto animate), che ripropongono alcune immagini già viste sopra, alle quali Somoroff ha aggiunto, utilizzando software particolari, impercettibili effetti di movimento. In essi, infatti, c'è vita. Si avvertono soffi d'aria e fruscii, ma non c'è nessuno. Le persone sono scomparse, ma la natura e le cose sono lì a ricordare che qualcuno è passato da quella porta, ha sfogliato quel libro, si è seduto a quel tavolo, abitava quello spazio. Gli oggetti, infatti, sono parte di noi, sono il segno della nostra esistenza e del nostro passaggio. Sopravvivono alla nostra morte instillando in chi è rimasto nostalgia, rimpianto, ricordo.

La mostra, che è stata già proposta alla Biennale di Venezia del 2011, è stata realizzata in collaborazione con Julian Sander, che è parente del fotografo tedesco.

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