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Col 1º maggio è entrato in vigore il nuovo Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D. Lgs. 22/1/04, n. 42 (GU n. 45 del 24/2/04 - Suppl. Ord. n. 28). Un provvedimento che ha fatto e fa discutere.
Al di là di aspetti positivi, come la nuova considerazione del paesaggio, elevato alla dignità di bene culturale (art. 2), molte sono, infatti, le disposizioni che sembrano, paradossalmente, in contrasto con la protezione del patrimonio nazionale.
Tra gli articoli più osteggiati c'è sicuramente l'art. 12 (Verifica dell'interesse culturale), che stabilisce l'alienabilità dei beni culturali di proprietà pubblica salvo che non intervenga, entro 120 giorni, un parere contrario e motivato delle Sovrintendenze, che dichiarino quel bene non cedibile perché di particolare interesse dal punto di vista artistico e culturale. Una disposizione, che è stata introdotta sulla scia dell'art. 27 della Finanziaria 2004, quindi per "fare cassa", e che pone in serio pericolo molti beni pubblici fino a oggi sottoposti a tutela in via di una presupposta culturalità, ora assoggettabile a verifica.
Altre perplessità arrivano dall'art. 115, che, andando oltre le disposizioni della Legge Ronchey e del successivo Testo Unico (D. Lgs. 19/10/99, n. 490), prevede la possibilità di concedere ai privati la gestione di tutte le attività di valorizzazione museale e perfino la concessione in uso del bene. Una disposizione che può essere considerata eccessiva e anche pericolosa ove non siano predisposti limiti e controlli.
L'appoggio dei privati rappresenta senz'altro un'ottima opportunità, può portare risorse e maggior efficienza, ma lo Stato deve essere il più possibile attento. E conservare sempre nelle sue mani quel potere di indirizzo e verifica che il Codice prevede e si spera sia effettivamente esercitato nell'interesse della cultura e della collettività.
A ben vedere, anche nei confronti del paesaggio non è tutto "rose e fiori" e il Codice prima dà e poi toglie. Dopo aver preso in carico la tutela dell'ambiente, fa cadere infatti ogni potere di veto delle Sovrintendenze, che non possono più annullare i permessi concessi da Comuni o Regioni, ma soltanto esprimere un parere preventivo, non vincolante (art. 146).
L'unica ancora di salvezza viene affidata alle associazioni ambientaliste o ad altri soggetti pubblici e privati, portatori di un interesse motivato, che possono ricorrere al TAR o al Presidente della Repubblica impugnando l'autorizzazione. Il rischio resta comunque molto alto.
Un cenno a parte merita il problema del rapporto tra Stato ed Enti locali per quanto riguarda la tutela e valorizzazione dei beni culturali. Una questione spinosa, aperta dalla riforma del Titolo V della Costituzione, che, nel 2001, ha affidato le decisioni in tema di valorizzazione alla legislazione concorrente di Stato e Regioni riservando allo Stato la determinazione dei principi fondamentali.
Il nuovo Codice ha cercato di porre fine ad anni di discussioni e dibattiti, che hanno avuto ripercussioni nella concessione globale dei servizi aggiuntivi ai privati, affidando la tutela allo Stato (salvo casi particolari o intese) e prevedendo forme di collaborazione, basate su programmi concordati, tra Stato, Regioni ed Enti locali per quanto riguarda la valorizzazione.
L'idea di un sistema integrato non è sbagliata, anche se l'esercizio pressoché esclusivo della tutela e la posizione "subordinata" della valorizzazione (art. 6, comma 2) sembrano dare l'ultima parola allo Stato in entrambi i casi. Resta da vedere se, all'atto pratico, sarà possibile coordinare le iniziative dello Stato e degli Enti locali in tema di valorizzazione, o se invece prevarranno inerzie e conflitti. E soprattutto quale sarà lo spazio lasciato ai privati, che, d'ora in poi, come dice il Codice, potranno intervenire ampiamente in questo settore.
Dubbi e paure sono inevitabili quando si ha a che fare con qualcosa di nuovo. Ma niente è immodificabile. C'è ancora tempo per intervenire perfezionando alcuni aspetti e correggendone altri. Speriamo che le proteste delle associazioni culturali e ambientali e degli addetti ai lavori inducano il Ministero a introdurre le opportune modifiche a salvaguardia del patrimonio nazionale. Che non va venduto, ma tutelato e conservato nell'interesse di tutti. |