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Riapre il Museo d'Arte Contemporanea di Villa Renatico Martini
Museo d'Arte Contemporanea e del Novecento
Villa Renatico Martini
Via Gragnano 349, Monsumanno Terme (Pt)
Tel. 0572-952140
Orari: lun 9:30-12:30, mer-ven 16-19, sab-dom 9:30-12:30 16-19, martedì chiuso
Dopo due mesi di chiusura per adeguamento agli standard museali correnti, il 4 giugno scorso ha riaperto al pubblico il Museo d'Arte Contemporanea di Villa Renatico Martini a Monsumanno Terme.
I lavori hanno offerto l'occasione per un ripensamento della struttura museale e di tutto il percorso espositivo.
Il progetto è stato curato dall'architetto Eugenio Martera, che ha rivisto gli allestimenti e riadattato gli spazi del piano terra, dove si trovano la hall, il guardaroba, una sala polivalente e il bookshop.
L'intervento è costato circa 848.000 Euro ed è stato finanziato dal Comune e dalla Regione.
La Villa, costruita in stile neorinascimentale e circondata da un grande parco, risale alla fine dell'800. A volerla fu il letterato Ferdinando Martini, che ricoprì anche incarichi di governo.
Nel 1981 il palazzo fu acquistato dall'Amministrazione Comunale, che, nel 1988, decise di aprirvi un Centro Culturale. Dal 2000 è sede del Museo d'Arte Contemporanea e del Novecento "Collezione Civica il Renatico".
Nella programmazione museale spiccano le mostre d'arte contemporanea, realizzate in collaborazione con importanti istituti culturali, e la promozione del Premio Internazionale "Biennale dell'Incisione, Città di Monsummano Terme".
Molto curata è anche anche l'attività didattica, rivolta alle scuole e ai gruppi.
La mostra inaugurale, aperta fino al 2 ottobre, è curata da Lucilla Saccà e ha per oggetto la Scuola di Pistoia. Rispecchia quindi la vocazione del museo, che è quella di valorizzare l'arte italiana in generale, e quella toscana in particolare.
Un orientamento evidente anche nelle rassegne precedenti, "La poesia come immagine e come segno" e "Omaggio a Ketty La Rocca", dedicate ad artisti contemporanei locali.
Gli anni '60 sono gli anni del boom economico, dello sviluppo dei mass-media, della pubblicità. Questa nuova realtà trova riscontro anche nel lavoro degli artisti, che traggono ispirazione dal vasto campionario oggettuale e tecnologico che li circonda. Nasce la Pop Art italiana.
Tra i centri propulsivi di questo nuovo fenomeno artistico, oltre a Roma, Milano e Torino, emerge anche Pistoia, che dimostra un'inaspettata carica propositiva. Qui si sviluppa, infatti, la Scuola di Pistoia, sostenuta dal gallerista Serafino Flori e dal critico Cesare Vivaldi. Ne fanno parte alcuni giovani artisti di talento, che danno vita a un linguaggio autonomo e originale. Si chiamano Roberto Barni, Umberto Buscioni, Adolfo Natalini e Gianni Ruffi.
Più che di un gruppo vero e proprio si deve parlare di personalità autonome che presentano tratti comuni di stampo tutto toscano. Lontani dai modelli statunitensi, restano legati alla tradizione locale e a un rapporto dialettico con la natura.
L'avventura della Scuola di Pistoia è piuttosto breve, dura circa 4 anni, ma riesce ad assicurare ai suoi adepti un posto nella storia dell'arte contemporanea.
Vivaldi scopre il lavoro di Barni, Ruffi e Natalini nel '64. Parla della loro esperienza nel testo pubblicato per la mostra "Revort 1" a Palermo e nella storica rivista "Collage". Continua a sostenere il loro lavoro anche negli anni successivi, quando, insieme a Buscioni, espongono sotto l'etichetta di Scuola di Pistoia.
Il primo ad andarsene è Natalini, che decide di dedicarsi all'architettura. Poi, se ne vanno anche gli altri.
L'ultima mostra insieme è la collettiva del 1968 alla Galleria Flori di Firenze, poi ognuno continua il cammino individualmente.
Del resto la Pop Art ha fatto il suo tempo e si aprono nuovi filoni di ricerca.