Mostre di arte moderna e contemporanea
Arte americana 1850-1960. Capolavori dalla Phillips Collection di Washington
5 giugno - 12 settembre 2010
MART - Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto
Corso Bettini 43, Rovereto (Tn)
Tel. 0464-438887
Orari: 10-18, ven 10-21, lunedì chiuso
Dopo il grande successo della mostra "Da Goya a Manet, da Van Gogh a Picasso", che, nel 2005, ha portato al MART i capolavori d'arte europea della Phillips Collection di Washington, il Museo di Rovereto ha deciso di offrire ai suoi visitatori un'altra rassegna di grande fascino e qualità, che racconta l'evoluzione dell'arte americana dalla seconda metà dell'800 agli Anni Sessanta del '900 attraverso il gusto e le scelte di Duncan Phillips, un uomo colto, sensibile e benestante, che, assieme alla moglie Marjorie Acker, ha messo insieme anche una straordinaria raccolta di opere "made in Usa". Questo importante collezionista, che, nel 1921, ha voluto condividere con gli altri il suo amore per la bellezza aprendo al pubblico la sua casa, è stato, infatti, uno dei primi a intuire il potenziale degli artisti del suo paese, che, all'epoca, erano considerati di minor valore rispetto a quelli europei.
La mostra, curata da Susan Behrends Frank e Gabriella Belli, è suddivisa in diverse sezioni, che ripercorrono l'evoluzione della cultura artistica statunitense dall'espressione pittorica tardoromantica di artisti come George Inness e Winslow Homer, alle grandi composizioni astratte di autori innovativi come Rothko e Motherwell. L'idea di fondo che anima questa rassegna, infatti, non ` soltanto quella di offrire la visione di opere che sono una vera gioia per gli occhi, ma anche quella di invitare i visitatori a riflettere su alcuni fatti che sono fondamentali per la conoscenza della storia dell'arte del '900. Offre, infatti, la possibilità di capire perché, a un certo punto, gli artisti americani abbiano sentito l'esigenza di una pittura autonoma, sganciata dalla tradizione europea, e come sia potuto accadere che le loro opere abbiano ottenuto un tale successo da imporsi a livello internazionale surclassando quella che fino ad allora era considerata l'arte con la "a maiuscola".
Il percorso espositivo, che ha un andamento al tempo stesso cronologico e tematico, prende le mosse con una sezione intitolata "Romanticismo e Realismo", in cui vengono presentate le opere di quei pittori (George Inness, Winslow Homer, Thomas Eakins, Albert Pinkham Ryder) che, secondo Duncan Phillips, incarnavano le radici della modernità americana.
Ai lavori di questi artisti, che, da un lato, sottolineano la bellezza della natura e, dall'altro, raccontano la vita della gente comune (contadini, gente di mare), fanno seguito i dipinti degli "Impressionisti americani" (James Abbott McNeill Whistler, Childe Hassam, John Henry Twachtman), che si distinguono da quelli europei per la particolarità delle composizioni e un modo di stendere il colore che fa presagire fin da addesso un'evoluzione verso l'astrazione.
L'acquisto di queste opere condiziona il gusto di Phillips, che comincia a mostrare uno spiccato interesse per i modernisti americani. A cambiare le carte in tavola è però sicuramente la frquentazione della galleria newyorchese dell'editore e fotografo Alfred Stieglitz, che lo sprona ad acquistare le opere di Arthur Dove (Red Sun, 1935), Georgia O'Keeffe (Large Dark Red Leaves on White, 1922, My Shanty, Lake George, 1925) e, soprattutto, John Marin (Weehawken Sequence, n. 30, 1916), un artista che il collezionista americano ama davvero tanto e fa mostra di sé nella sezione dedicata alle "Forze della natura".
La natura non è comunque il solo interesse degli artisti americani. Lo sviluppo e la crescita delle aree urbane, col suo corollario di poveri ed emarginati, infatti, è un'altra importante fonte di ispirazione, che viene documentata nelle aree dedicate ai "Tempi Moderni" e alla "Città". Si trovano qui le opere degli artisti della Ashcan School (Scuola pattumiera), capitanata da Robert Henri, Stefan Hirsch, John Sloan (Six O'Clock, Winter, 1912), Charles Sheeler (Skyscrapers, 1922) ed Edward Hopper (Sunday, 1926), ma anche di alcuni fotografi, come Paul Strand (New York (Wall Street), 1916), Berenice Abbott e Margaret Bourke White, che ci hanno lasciato straordinarie immagini delle città americane.
Un altro tema importante, strettamente oconnesso alla storia di questo paese, è quello dell'emigrazione, che viene affrontato nella sezione dedicata a "Memoria e identità, dove si possono vedere le opere di artisti, come John Kane, Horace Pippin, Jacob Lawrence (The Migration of the Negro (Series), 1940-41) e Yasuo Kuniyoshi ( Maine Family, circa 1922-1923), che, con stile un po' anomalo, raccontano la vita nei sobborghi e negli spazi urbani di chi arriva da altri posti e paesi.
Anche se la mostra intende documentare l'evoluzione e l'originalità della produzione artistica americana, non bisogna dimenticare che gli artisti europei erano abbastanza conosciuti nel Nuovo Mondo. Nel 1913 si era tenuto, infatti, l'Armory Show, che aveva fatto conoscere artisti importanti come Pablo Picasso, Henri Rousseau, Georges Braque e Henri Matisse, alcuni dei quali erano già passati anche dalla galleria di Stieglitz. L'"eredità del cubismo" era quindi un dato di fatto, che i curatori hanno voluto ricordare proponendo i lavori di Alfred Maurer, Karl Knaths, John Graham, Niles Spenser (The Dormer Window, 1927) e Stuart Davis, di cui è esposto un lavoro straordinario, Egg Beater n. 4, 1928, che, grazie a Phillips, fu esposto alla Biennale veneziana del 1952, insieme a un'altra tela di Hopper presente in mostra, Approaching a City, datata 1946.
La Biennale del 1952 va ricordata anche per un altro evento. In quella occasione, infatti, Alexander Calder, che Phillips stava cominciando a collezionare, vinse il premio per la scultura.
I suoi "Mobiles" e i dipinti più tardi di Milton Avery, considerato "il Matisse americano", si sviluppano in parallelo alle opere degli espressionisti astratti, che mischiando il surrealismo europeo con riferimenti autoctoni riescono a dar vita a un'arte davvero originale, quella di Adolph Gottlieb, Robert Motherwell e Mark Rothko (Untitled, 1968), un artista così amato da Phillips che ottenne l'onore di una sala personale nel suo museo.
La rassegna, realizzata in collaborazione con la Phillips Collection di Washington, è arricchita da un bel catalogo, edito da Silvana Editoriale.