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L'Hangar Bicocca si rinnova ma continua a interessarsi della vulnerabilità umana

(ARCHIVIO 2010) Dopo un periodo di chiusura forzata, che è stato necessario per portare avanti alcuni lavori di ristrutturazione e adeguamento degli spazi, l'Hangar Bicocca, che dallo scorso anno agisce sotto forma di Fondazione, ha riaperto in grande stile il 24 giugno presentando locali molto più confortevoli e attrezzati. A disposizione dei visitatori sono stati realizzati, infatti, un bar caffetteria, dove si può mangiare, leggere, lavorare e navigare in Internet, e un bookshop, gestito da un editore, Fabio Castelli, che saranno aperti anche negli orari di chiusura del centro espositivo.

La direzione artistica dell'Hangar è affidata, come lo scorso anno, a Chiara Bertola, che al momento del suo insediamento ha dichiarato di voler portare avanti uno spazio multisfaccettato, aperto al quartiere e alla città, dove si promuovono le arti visive e performative contemporanee, ma anche eventi legati alla musica, alla danza, al teatro, alla poesia, alla letteratura ecc.
Il primo evento che la giovane curatrice ha realizzato è stato la mostra Fuori centro, che poneva l'accento sulla "vulnerabilità", un tema che si ritrova anche nelle mostre temporanee di quest'anno, dedicate a Christian Boltanski (fino al 26 settembre) e Carlos Casas (fino all'1 agosto), due artisti dotati di una straordinaria sensibilità, che, in modo diverso, hanno posto l'accento sulla fragilità umana. Se il primo, infatti, si interroga sul destino e la morte, il secondo ci parla invece di solitudine, fatica, vita.

Personnes, che Boltanski ha già presentato al Grand Palais di Parigi, ma trova qui un nuovo modo di essere, legato al luogo e alla presenza dei Sette Palazzi Celesti di Kiefer, è un'installazione dura, cruda, che non offre alcuna speranza, ma rispecchia le leggi che governano il nostro mondo, fragile e terreno. Regole che sono difficili da capire, da accettare, ma che non si possono modificare. Ogni uomo porta, infatti, dentro di sé una sola certezza, quella di vivere e morire. Non sa però quanto tempo gli concederà il destino prima che la mano di Dio, o il caso, lo porti con sé. Una volta giunti alla fine di quel corridoio, con il quale l'artista ha voluto indicare il nostro cammino, saremo tutti morti e di noi, di ciò che ci ha illuminato o fatto battere il cuore, non resterà altro che un cumulo di panni accatastati, destinati al macero. E, forse, il ricordo di chi ci ha voluto bene.
Boltanski, che nel corso della sua carriera ha lavorato molto sul concetto di memoria e sul significato della vita umana, ci propone, infatti, una scappatoia contro l'oblio, quella di registrare il nostro battito cardiaco negli Archivi del cuore, custoditi nell'isola giapponese di Teshima. Un posto dove assenza e presenza diventano tutt'uno. Anche se l'artista ritiene che "i nostri morti vivono in noi e ci costruiscono", il ricordo, infatti, non può mai prescindere dall'idea di mancanza, perdita, privazione, vuoto incolmabile e senza fine.

Il tempo, che nell'opera di Boltanski procede velocemente senza curarsi dei sogni e dei desideri degli uomini, trova un'esasperata dilatazione nei video che Carlos Casas ha realizzato in alcuni tra i più remoti e sperduti angoli del pianeta: sul lago Aral, in Patagonia e in Siberia. La vita delle persone che abitano in questi posti meravigliosi e incontaminati, ha, infatti, un ritmo molto diverso dalla nostra ed è fatta di speranze, attese, giorni che sembrano senza fine. Il lavoro è duro, la solitudine tanta, eppure è proprio qui, in questi luoghi in via d'estinzione, che Casas ha trovato "lo spirito umano nel suo stato più puro e sincero", la più compiuta fusione tra uomo e ambiente. Si tratta comunque di un equilibrio precario. L'artista teme, infatti, che la civilizzazione avrà presto la meglio su queste "terre vulnerabili" e ha realizzato questa trilogia, intitolata End, per ricordare la loro esistenza e quella dei loro abitanti.

Il destino dell'uomo è al centro anche della riflessione di Anselm Kiefer, che, dal 2004, espone le sue "Torri" all'Hangar Bicocca indicando la strada che porta a congiungersi con la Divinità.

Guarda invece al presente, al quartiere e alla città, il "pergolato" permanente di Stefano Boccalini, che attende di riempirsi di volta in volta offrendo spazio e visibilità alle realtà locali, ma potrà essere utilizzato anche per attività di laboratorio, gioco e interazione col pubblico. L'Hangar, infatti, vuole essere un luogo vivo, dove si fanno tante cose e si condividono esperienze ed emozioni.

Il fatto che questo spazio abbia un carattere sperimentale e mostri grande attenzione verso i giovani artisti, non vuol dire che si disinteressi del passato. Nel piazzale antistante le porte dell'Hangar è stata posizionata, infatti, una bellissima scultura di Fausto Melotti, La Sequenza (1971), che è stata presentata per la prima volta al Forte Belvedere di Firenze ed è stata recentemente restaurata da Arnaldo Pomodoro. Come le opere precedenti, ha due facce. Una greve, come le sagome degli edifici industriali che l'attorniano, l'altra più mossa e lieve, di natura musicale. Quasi anche qui ci fosse spazio per il corpo e lo spirito, per la vita e la morte, per quel gioco lievissimo di equilibri e di ritmi, di luci e di ombre, di cui è fatta ogni esistenza.

Per avere maggiori informazioni sulla Fondazione e i suoi programmi, che sono in continua evoluzione, si può guardare il sito www.hangarbicocca.it.

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