Civico Museo d'Arte Contemporanea (CIMAC), Milano
Storia
Umberto Boccioni, Dinamismo di un corpo umano, 1913
La storia del Civico Museo d'Arte Contemporanea (CIMAC) di Milano s'intreccia con quella della Galleria d'Arte Moderna fino all'apertura nella sede provvisoria (1984).
Nella seconda metà dell'800, il Comune di Milano effettuò numerosi acquisti di opere. Ad esse si aggiunsero importanti donazioni, tra cui il legato Ercole Vaghi, con le più importanti tele di Giovanni Segantini e del divisionismo.
Questi eventi maturarono la necessità di distinguere il nucleo di opere dell'800 e del primo '900 dal resto delle Civiche Raccolte d'Arte. Ne risultò il germe di quella che sarebbe divenuta la Galleria d'Arte Moderna.
La Galleria venne inaugurata nel 1903 in alcune sale appositamente allestite all'interno del Castello Sforzesco. Già da subito la sede non apparve del tutto idonea alla natura del contenuto. La questione venne rimandata fino ai primi anni '20, quando il passaggio di proprietà della Villa Reale dallo Stato al Comune (1921) consentì il trasferimento in essa della Galleria.
Gli anni tra le due guerre videro l'afflusso incessante di opere. Il Comune giocava la sua parte, con acquisti operati in gran parte in occasione delle grandi mostre periodiche (Biennale di Venezia, Quadriennale d'Arte Moderna di Roma), delle mostre sindacali e dei premi (Premio Bergamo, Premio Cremona).
L'arricchimento qualitativamente più significativo avvenne nel 1934, quando Ausonio Canavese donò la sua splendida collezione di opere del futurismo italiano. Ne facevano parte una ventina di tele e sculture di Umberto Boccioni, alcune tele di Giacomo Balla, Ardengo Soffici, Ottone Rosai, Gerardo Dottori e svariate opere su carta di tutti i più importanti interpreti del movimento.
L'esigenza di dotare la Galleria di nuovi spazi maturò la decisione di riadattare un edificio adiacente alla Villa Reale, per farne il Padiglione d'Arte Contemporanea (PAC). I lavori vennero affidati ad Ignazio Gardella. L'edificio venne inaugurato nel 1954, con una grande mostra dedicata a Georges Rouault.
Gli anni seguenti videro l'acquisto da parte del Comune del Ritratto di Paul Guillaume (1916), capolavoro di Amedeo Modigliani (1955). Ma è soprattutto sul versante delle donazioni che vennero compiuti i "colpi" più importanti.
Nel 1956 venne donata la collezione Carlo Grassi dalla vedova, in memoria del figlio morto in Africa. Un insieme importante e piuttosto composito di opere di varie epoche: dipinti olandesi del '600, tele dei macchiaioli toscani, del divisionismo, della scapigliatura, dell'impressionismo e post-impressionismo francese, del futurismo, della scuola romana. Vennero collocati in un'ala della Villa Reale di nuovo allestimento (1958), dove tuttora si trovano.
L'ingresso al Civico Museo d'Arte Contemporanea (CIMAC) di Milano
La momentanea chiusura del PAC impedì, invece, di apprezzare in tutto il loro valore la donazione di opere di Marino Marini (1973), e soprattutto la donazione nel 1974 della raccolta di Antonio e Marieda Boschi-Di Stefano. Quest'ultima comprendeva più di 1800 opere, spazianti dal primo '900 (Boccioni, Severini, de Chirico, Sironi, Carrà, Morandi, Campigli, Casorati, de Pisis, Tosi) al dopoguerra (Fontana, Manzoni, Licini, Birolli). Di poco successiva è la donazione della raccolta Vismara, comprendente opere del primo '900 francese (Dufy, Matisse) e italiano (Sironi, Campigli, Rossi, Morandi, de Pisis).
Negli anni '80 le donazioni rallentano. Sono gli acquisti a tenere banco. Riguardano soprattutto opere di autori del dopoguerra, in relazione alle mostre che si succedevano a ritmo un po' irregolare nella sede del PAC e in quella più centrale di Palazzo Reale.
L'impossibilità di rendere visibili le opere del primo '900 e del dopoguerra nella sede della Villa Reale e la destinazione del PAC alle mostre temporanee indussero l'amministrazione a separare le suddette opere dal corpo di quelle dell'800 e a costituire una nuova entità destinata a contenerle.
All'occorrenza gli spazi vennero individuati all'interno del complesso di Palazzo Reale, oggetto di importanti lavori di restauro e ristrutturazione. Qui, nel 1984, venne inaugurata la sede provvisoria del Civico Museo d'Arte Contemporanea.
La provvisorietà derivava dalla prospettiva di una soluzione definitiva in tempi rapidi. Stupisce che, a distanza di oltre quindici anni, sia ancora una questione così prosaica ad occupare le fervide menti degli amministratori di Milano, "metropoli europea". Appena aldilà delle Alpi, le direzioni dei musei d'arte moderna e contemporanea sono alle prese con problemi di ben altra natura, che investono la museografia, la museologia, la comunicazione, il marketing, la digitalità...
Tra le difficoltà degli ultimi anni bisogna segnalare il felice epilogo di una penosa vicenda: quella relativa alla famosa collezione di Riccardo e Magda Jucker. Dopo essere stata promessa alla Pinacoteca di Brera e in seguito ritirata, nel 1992 è stata in gran parte acquistata dal Comune di Milano. È entrata, così, a far parte del Civico Museo d'Arte Contemporanea.
Qualche anno fa (1999) i responsabili della cultura del Comune di Milano indissero una conferenza stampa. Argomento era l'annuncio di un grande piano di riorganizzazione delle collezioni di arte moderna e contemporanea.
Esso prevederebbe il completamento del restauro di Palazzo Reale. Al suo interno troverebbero sede in maniera definitiva le opere del primo '900. L'arte contemporanea verrebbe collocata, invece, in due grandi gasometri presso il polo scientifico alla Bovisa, adeguatamente riconvertiti a contenitori museali.
Nel frattempo Civico Museo d'Arte Contemporanea è stato chiuso. Al suo posto è stato realizzato un allestimento provvisorio di una selezione di opere presso il Museo della Permanente, sotto il titolo di Museo del Novecento. La collezione Jucker, invece, ha trovato ospitalità temporanea presso la Galleria d'Arte Moderna.
Il provvedimento denota indubbiamente un grado inaspettato di attenzione nei confronti sia delle opere, che degli amanti dell'arte recente. Viene però da domandarsi una volta di più fino a quando le opere d'arte moderna debbano essere costrette a peregrinare da una sistemazione provvisoria all'altra, in una città che della modernità in tutte le sue forme dovrebbe fare la sua bandiera...
E adesso Picasso, Matisse, Klee, Boccioni, Balla, Severini, Morandi e molti altri, sono in attesa di una sede degna e di un direttore altrettanto degno.